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Hitler vara il Decreto Nerone per non lasciare delle tracce

Hitler vara il Decreto Nerone per non lasciare delle tracce

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«Se non è possibile la vittoria, allora non ci sarà sconfitta: tutto deve essere distrutto per non lasciarlo al nemico». Più o meno queste devono essere state le parole di Hitler, nel suo bunker di Berlino, al momento di firmare il più terribile dei suoi atti: il Decreto Nerone, il 19 marzo 1945. Era l’inizio della primavera 1945, e la situazione per i tedeschi era disperata. Gli eserciti americani, inglesi e francesi stavano rapidamente cacciando i germanici dal cuore del continente. E Hitler? Come sappiamo, il delirante dittatore non era disposto ad accettare la disfatta (e che disfatta). Il “Decreto riguardante le misure distruttive nel territorio del Reich” (in tedesco Befehl betreffend Zerstörungsmaßnahmen im Reichsgebiet) stabiliva, al suo articolo 1: «Tutte le strutture militari di trasporto e comunicazione, stabilimenti industriali e depositi di approvvigionamento, nonché qualsiasi altra cosa di valore all’interno del territorio del Reich, che possa essere utilizzata in qualsiasi modo dal nemico immediatamente o nel prossimo futuro per il perseguimento della guerra, sarà distrutto». In pratica: la Germania rischiava di essere rasa al suolo dagli stessi tedeschi. Lo avrebbe detto, in un’altra occasione: «Se la guerra è persa, anche le persone saranno perse: è meglio distruggere tutto da soli». Persone comprese? Gli storici si dividono su questo punto, anche se inevitabilmente nel realizzare la terra bruciata si sarebbero uccisi molti cittadini. Hitler aveva già tentato qualcosa di simile tempo addietro, alla vigilia della liberazione di Parigi: in quell’occasione, aveva fatto minare gli accessi alla città, le stazioni e perfino la Tour Eiffel. Tuttavia, Dietrich von Choltitz, il governatore militare di Parigi, non aveva eseguito l’ordine e si era consegnato agli Alleati. Una cosa analoga avvenne il 19 marzo 1945, quando fu varato il Decreto Nerone (così passo alla storia) e l’incarico di metterlo in pratica fu affidato ad, ironia della sorte, un ex architetto, Alfred Speer, ora ministro degli armamenti. Che non lo eseguì. Come noto, il dittatore era ormai indifferente al destino del popolo tedesco, e scelse Speer in quanto lo riteneva un uomo di sua assoluta fiducia. E tuttavia fu proprio il suo uomo di fiducia a rifiutarsi di eseguire l’ordine, rivelando poi il suo operato ad Hitler nell’ultimo colloquio che ebbe con lui. Il 23 maggio 1945 fu arrestato dagli Alleati; Speer fu riconosciuto colpevole di sfruttamento della schiavitù nelle industrie belliche e condannato a vent’anni di reclusione a Spandau. Il folle decreto di Hitler, che avrebbe condannato la Germania a privarsi delle proprie industrie, delle città, delle opere d’arte e di tutto ciò che di valore poteva ancora trovarsi si giustifica alla luce di una interessante teoria elaborata da un altro tedesco, Hans Magnus Enzensberger, il quale tracciò il profilo di quello che lui chiamò il “perdente radicale”, il quale introietta il giudizio negativo di coloro che lo circondano e lo eleva a missione di distruzione, fino allo sterminio e al suicidio collettivo.
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