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Il 17 settembre 1871

I festeggiamenti per il Frejus
Primo grande traforo d’Italia

La Francia, piena di risentimento verso l’Italia non mosse dito

I festeggiamenti per il Frejus Primo grande traforo d’Italia

I festeggiamenti per il Frejus Primo grande traforo d’Italia

Il 17 settembre 1871, quale spettacolo! Torino tornava capitale, anche se solo per tre giorni: capitale d’Italia, capitale del mondo. La fiera città ai piedi delle montagne festeggiava il completamento del traforo del Fréjus, che all’epoca tutti chiamavano il traforo delle Alpi - c’era solo quello… - o del Moncenisio. Festeggiamenti che in città non si vedevano dai tempi della capitale, che erano poi sei anni addietro, ma sembravano sei secoli. La Francia, piena di risentimento verso l’Italia per la questione romana, non mosse dito: nessun fuoco artificiale, nessuna festa al di là delle Alpi. Tanto più che i francesi avevano dovuto pagare circa il 30 per cento dei costi del cantiere, come da accordi presi nel 1860 all’epoca della cessione della Savoia, più una considerevole quotaparte dovuta al fatto che l’Italia riuscì a finire il cantiere anzitempo. Erano altri tempi, tempi di cantieri super rapidi e di qualità. E tempi in cui un tunnel sotto le Alpi generava l’entusiasmo collettivo, e non suscitava violente tifoserie da stadio. A Bardonecchia si diede un sontuoso banchetto per 130 invitati provenienti da tutto il mondo, proprio sulla collina artificiale creata dagli scarti dello scavo. Vi presero parte tutti i protagonisti di quella che già si chiamava “l’impresa del secolo”, per la tenacia con la quale gli italiani – o per meglio dire i piemontesi – avevano forato una montagna inventando tutte le tecnologie necessarie. Grandis, Grattoni e Sommeiller, i tre ingegneri che avevano diretto i lavori, avevano compiuto un’impresa che tutti, all’epoca, paragonavano all’altra grande opera della contemporaneità, vale a dire il taglio del canale di Suez. Impresa, quella delle Alpi, che avrebbe accorciato tutti i tempi di percorrenza, ridotto i rischi della traversata e unito l’Italia all’Europa. Torino era agghindata a festa: le luminarie curate dalla ditta Ottino rendevano la città come uscita da un sogno, un sogno di luce. Corso Vittorio era diventato un tunnel luminescente. Il termine tunnel non è casuale, perché fu davvero trasformato nel traforo del Moncenisio da un sapiente apparato posticcio. Un traforo fatto di chiara luce, con un colpo d’occhio che oggi possiamo solo immaginare: il “cannocchiale” prospettico del corso doveva essere sorprendente, tant’è che i giornali illustrati di allora dedicarono a questi allestimenti delle magnifiche incisioni. Anche Porta Nuova, come ben possiamo immaginare, era decorata e abbellita da migliaia di luci: E poi gente, gente ovunque: impossibile trovare qualcuno tra questo pullulare di cittadini e di turisti increduli, che camminavano con il naso all’insù alla ricerca di qualcuno, di qualcosa. Molti si soffermavano ai banchetti di cibo e vivande, altri proseguivano verso piazza Castello, anch’essa parata a festa. Per qualche giorno sembrò che l’austera Torino avesse ritrovato lo spirito festoso dell’età, già trapassata, in cui fu brevemente capitale d’Italia.

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