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12 Agosto 2023 - 20:36
Un FlashMob per salutare Michela Murgia.
In piazza Carlo Alberto si sono date appuntamento decine di persone per un ultimo simbolico saluto alla scrittrice scomparsa il10agosto a causa di un cancro.
Murgia aveva51anni ed è proprio Torino, in occasione del Salone del Libro, la città dove ha fatto la sua ultima apparizione pubblica.
Sui gradini della statua di Carlo Alberto, in silenzio, con un libro in mano della scrittrice hanno reso omaggio nel modo più semplice e diretto: leggendo un libro di Michela.
IL FUNERALE
Si sono tenuti nella stessa mattinata i funerali a Roma, nella Basilica in Santa Maria Montesanto, nota come chiesa degli Artisti.
Una nutrita folla di persone ha accolto il feretro in Piazza del Popolo con un lungo applauso. La bara sulla spalla, Roberto Saviano ha dedicato durante la cerimonia un pensiero al microfono: “Michela voleva questa giornata fosse per tutti coloro che hanno letto o ascoltato le sue parole. Mi disse ‘Cosa mi perderó!’ mentre immaginava la giornata di oggi. Vedendo quante tante persone ci sono, direi che aveva ragione. Lei aveva un talento magnifico che le permetteva di ribaltare la visione delle cose. Ecco perché era considerata per tanti ‘pericolosa’. La scrittura per Michi era fatica, nonostante quando batteva sulla tastiera sembrava suonasse. Per lei la condivisione è il senso di tutto. E spesso per ottenerla devi passare per la solitudine.”
LA QUEER FAMILY
Numerosi i post sui social apparsi in questi giorni: sono in molti a piangere la scomparsa di Michela Murgia che con il suo attivo operato in campo politico e sociale ha lasciato un segno importante, accendendo un faro -perché definirlo punto luce è riduttivo- sulle tematiche riguardanti Famiglia e Libertà personale.
L’autrice infatti ha sempre portato avanti i suoi ideali e facendone una propaganda su giornali, social e televisione: la “Queer Family” come lei stessa ha definito il suo nucleo.
Ha raccontato la sua quotidianità fatta di amore e nessuna etichetta, rifiutando qualsiasi schema imposto da termini burocratici. La sua famiglia allargata, composta da dieci persone, legate dallo spirito e non dal sangue.
Un nucleo per nulla stereotipato, libero da ogni vincolo, dove i ruoli spesso sono “intercambiabili”.
Proprio al Salone del Libro aveva parlato della sua Queer Family: “Nella famiglia cosiddetta tradizionale i sentimenti sono vincolati ai ruoli: mentre nella Queer Family funziona esattamente al contrario. I ruoli sono maschere che i sentimenti indossano quando e se servono, altrimenti meglio mai. Usar categorie di linguaggio alternativo permette inclusione e supera la performance dei titoli legali, limita le dinamiche di possesso, moltiplica le energie amorose e le fa fluire. La famiglia Queer non l’ho inventata io. Siamo ancora fermi alla modalità coppia. Eterosessuale o gay, la verità è che per come siamo organizzati nella vita ciascuno di noi ha già in testa una comunità Queer. Se potessimo sceglierci i parenti… Non vuol dire eliminare quelli che ci sono, semplicemente significa che nella vita stabilisci delle relazioni che possono esser più profonde di quelle di sangue. E se ad un certo punto ti trovi in una situazione di fragilità, come mi son trovata io, e le persone si prendono cura di quella fragilità non sono tuoi parenti. Perché io non posso decidere che siano quelle persone a decidere per me, nel momento in cui non ne sono in grado? La fedeltà di una coppia monogama a me non interessa. Per me è importante l’affidabilità!”
L'INFANZIA CON UN PADRE VIOLENTO
Due mesi fa Michela Murgia rilascia un’intervista a Vanity Fair in occasione di un numero speciale diretto da lei: aveva raccontato di esser stata una bambina molto responsabilizzata, cresciuta con un padre violento che lei stessa definisce “traditore” a causa del quale a 18anni scappó di casa. Un padre che lei stessa racconta di non aver mai perdonato in quanto questo non si è mai pentito.
“Non accetto il paternalismo di chi mi dice ‘È sempre tuo padre.’ Il padre è un ruolo. Non una persona.”
UNA PENNA FEMMINISTA UNICA
Così è etichettata la Murgia, se di etichette si può parlare quando la si cita. Nata in Sardegna, laureata in teologia, prima di dedicarsi alla scrittura ha svolto numerose professioni tra cui quella di portiera notturna e di insegnante di religione. Nel 2006 scrive il suo primo libro dal titolo “Il mondo deve sapere”. Il racconto descrive la vita di un’operatrice di call center incaricata di vendere, attraverso criticabili tecniche, un famoso aspirapolvere. Da quel libro vengono ispirate due opere, una teatrale ed una cinematografica (Tutta la vita davanti, per la regia di Paolo Virzì. La stessa Murgia partecipa alla stesura della sceneggiatura della pellicola).
Nel 2009 è la volta di “Accabadora”:con questo scritto che intreccia la Sardegna degli anni ‘50 ai temi di eutanasia ed adozione, Michela vince il premio Dessì, il premio Mondello ed il premio Campiello.
Nel 2011 pubblica “Ave Mary. E la chiesa inventó la donna” e nel 2013 il pamphlet scritto insieme a Loredana Lipperini dal titolo: “L’ho uccisa perché l’amavo: falso!” A proposito di femminicidi.Nel 2018 ha pubblicato per Marsilio il memoir letterario L'inferno è una buona memoria, ispirato al romanzo Le nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley.
Dal 30 settembre 2017 al 4 novembre 2017 ha condotto, il sabato pomeriggio su Rai 3, Chakra.
Nel 2019, in collaborazione con Chiara Tagliaferri, pubblica per Mondadori la raccolta di racconti biografici Morgana, storie di ragazze che tua madre non approverebbe, tratto dall'omonimo podcast della piattaforma Storie Libere che le due autrici realizzano insieme dal 2018.
Il podcast è attualmente uno dei più ascoltati su Spotify.
A dicembre 2020Murgia è stata invitata ad aprire con un discorso introduttivo, la prima del Teatro alla Scala di Milano, svoltasi a porte chiuse per l'emergenza Covid e trasmessa in televisione.
Dal gennaio 2021 curava L'Antitaliana, la storica rubrica de L'Espresso nata negli anni '80 e curata prima da Giorgio Bocca e poi da Roberto Saviano; Michela Murgia è stata la prima donna a firmare questa rubrica.
LE ULTIME SETTIMANE
Il 6 maggio del 2023, in un'intervista al Corriere della Sera, dichiarava di essere malata di una forma di adenocarcinoma renale al quarto stadio con metastasi ai polmoni, al tessuto osseo ed anche al cervello, concludendo infine che le restavano pochi mesi da vivere. Sempre nel maggio 2023 esce il suo ultimo libro “Tre ciotole”, un successo che ad oggi continua a scalare le classifiche dei libri più venduti. In questo scritto Michela Murgia ci fa entrare nella vita dei suoi personaggi in un momento di passaggio che si ritrovano a sostenere: un abbandono, una presa di coscienza, una malattia. Un’epifania che affrontano in modo del tutto personale per andare avanti.Lo scorso mese Michela Murgia ha sposato Lorenzo Terenzi, scrittore e musicista. Un matrimonio celebrato controvoglia, in “articulo mortis”, allo scopo di garantirsi dei diritti: “Qualche giorno fa io e Lorenzo ci siamo sposat3 civilmente. Lo abbiamo fatto “in articulo mortis” perché ogni giorno c’è una complicazione fisica diversa, entro ed esco dall’ospedale e ormai non diamo più niente per scontato. Lo abbiamo fatto controvoglia: se avessimo avuto un altro modo per garantirci i diritti a vicenda non saremmo mai ricorsi a uno strumento così patriarcale e limitato, che ci costringe a ridurre alla rappresentazione della coppia un’esperienza molto più ricca e forte, dove il numero 2 è il contrario di quello che siamo. Niente auguri, quindi, perché il rito che avremmo voluto ancora non esiste. Ma esisterà e vogliamo contribuire a farlo nascere. Non sono sola. Ho 10 persone, la mia famiglia queer. Un nucleo familiare atipico, in cui le relazioni contano più dei ruoli. Parole come compagno, figlio, fratello non bastano a spiegarla. Non ho mai creduto nella coppia, l’ho sempre considerata una relazione insufficiente.”
Aveva così spiegato in numerose interviste. Alla cerimonia era seguita una festa in giardino: i componenti della sua famiglia erano tutti vestiti in bianco, con capi disegnati per l’occasione da Maria Grazia Chiuri, stilista di Dior che vanta nel suo portfolio Fendi e Valentino.
Il bianco però è stato de-sacralizzato: i vestiti erano tutti intercambiabili tra loro, per nulla canonicamente simili ai classici abiti da matrimonio.
Non c'è un solo sposo o una sola sposa, tutti i componenti sono legati da un rapporto affettivo che vorrebbe diventar modello al di là degli schemi sociali, come dimostrano gli anelli che ognuno di loro indossa: bianchi e con sopra una rana. La rana, non è stata scelta a caso, spiegó Michela: "È un animale transizionale, che nella sua vita cambia stato piu volte, da uovo a girino per diversi stadi prima di raggiungere la maturità, ed esiste dentro a un continuo processo di mutamento. È anfibia, ama habitat differenti e li frequenta senza appartenere necessariamente solo a uno. Salta volentieri. Nuota, cammina e canta. In certe varianti può cambiare colore per mimetizzarsi, perché ci sono circostanze in cui non essere vistə può essere l’unica cosa che ti salva la vita. L’anello con la rana incarna una sola promessa: cambieremo insieme, liber3".
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