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Colossomania

G20
Siamo entrati da anni nell’era del collegamento audiovisivo via Internet. Nelle chiamate private si usa il face time (telefonata con visione reciproca). Le teleconferenze sono prassi in tutti i campi. Nella didattica a distanza il prof si collega con tutti gli allievi, insegna, interroga. Si fanno persino gli esami universitari in video. I briefing (brevi riunioni) delle aziende si fanno in collegamento skype o meet (applicazioni ad hoc), ognuno da dove si trova all’ora convenuta.

Lo smart working (lavoro da casa) ha salvato l’economia o parte di essa nei duri mesi del lockdown (isolamento in casa). I medici di base ti mandano a richiesta un whatsapp (messaggio su app dedicata) con le ricette delle tue medicine abituali, risparmiandoti la coda in sala d’attesa, e i farmacisti le accettano. Insomma, una rivoluzione che fa risparmiare tempo e soldi.

Queste tecnologie sono usate anche in politica, e hanno affiancato da tempo il telefono nei contatti fra governanti. Se i vertici hanno bisogno di sentirsi per accordarsi o negoziare, lo fanno via internet. Ma al rito del G non rinunciano. Il punto G è un mito, non solo in campo sessuale. Ogni tanto i timonieri delle grandi nazioni sentono il bisogno di farne uno con numero a fianco (G8, G12, G20).

Seguono battage mediatico infernale, spiegamento di forze da stato d’assedio, spese faraoniche, ostentazioni, pranzi di corte, città paralizzate, dichiarazioni generiche, resoconti Tv pletorici, simili a quelli sui matrimoni regali. Il risultato è sempre il nulla. Non è al G che si decide. È solo un rito. Prima o poi si sentirà una voce di bimbo dire che il re è nudo, cioè che il G è ormai un inutile e ridicolo retaggio del passato.

collino@cronacaqui.it
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