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L’ultima partita

Pioveva, quel pomeriggio, su Superga. Oh, come pioveva! Pioveva da giorni, su Torino e sul Piemonte, tanto che il Po era a straripato e nella piazza bassa di Moncalieri si andava in barca. Pioveva così fitto che il pilota dell’aereo non vide la basilica e vi si schiantò dentro in pieno, ma educatamente. Perché se avesse volato 50 metri più in alto il grande sacrificio non avrebbe potuto compiersi, e se avesse volato soltanto 25 metri più su avrebbe distrutto quel capolavoro che è la chiesa di Juvarra. E se ne avesse anche solo urtato uno dei due campanili sarebbe precipitato lo stesso, ma nella vallata su Torino, incendiando case, spargendo rottami e membra umane per un chilometro, che ci sarebbe voluto chissà quanto a recuperarle. Educatamente. Alle 17,03 del 4 maggio 1949. Persino chi tifava per l’altra squadra di Torino fu sconvolto. E se dico “l’altra squadra” so cosa dico. La Juve è sempre stata l’altra squadra della città, fin da quando era stata fondata nel 1897 e la prima, che si chiamava ancora Torinese, esisteva già (cambiò solo il nome in Torino nel 1906). Lo sapevano tutti, ma era meglio non scriverlo troppo, perché la seconda squadra era stata comprata insieme alla città da una dinastia di potenti abituati a prender tutto, anche le false primogeniture. Avevano anche vinto 5 scudetti di fila, dal 1930 al 1935, prima del Toro, ma nonostante ciò il Toro era il più amato. Fu per rendere eterno quell’amore, forse, che finì tutto in un lampo contro il muraglione. Per l’enorme compressione quell’amore si mutò in diamante, in memoria perenne. Non erano invincibili: tornavano da una sconfitta a Lisbona. Ma lo diventarono così, vincendo il tempo e la materia nell’ultima partita.

collino@cronacaqui.it
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