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BUONANOTTE
08 Luglio 2023 - 06:30
Tòh, guarda chi si vede
Fra i tanti doni della gioventù c’è la facilità di fare amicizia, specie durante le esperienze collettive come la scuola, la goliardia, la naja... amicizie capaci di sopravvivere al tempo, allo strappo della separazione e persino al veleno dei cambiamenti (di idee e di status) dei contraenti. Anche “da grandi”, in verità, si continua a frequentare ambienti definiti come quelli sportivi, ricreativi, associativi, religiosi, culturali, di lavoro... dove possono fiorire amicizie, ma in genere sono meno salde delle prime. Chiusa la finestra giovanile dell’imprinting, prevale il disincanto.
Dall’entusiasmo per i legami giovanili bisogna tuttavia difendersi con l’arma dell’autoironia, altrimenti si rischia la sindrome del “di belli come noi, la mamma non ne fa più”. Oppure (ed è ancor peggio) si finisce per trastullarsi col reducismo. Che è l’odiosa selettività a posteriori di chi è convinto d’aver vissuto fasi storiche epocali e di poter menar vanto dal solo fatto di esserci stato. Il reducista è quel saccente che zittisce i giovani col “taci, tu, che io li ho visti i bombardamenti, io so cosa fu la resistenza, io ho fatto il ’68, e tu no” cadendo nell’autoreferenzialità più patetica. Viva gli amici di una volta, dunque.
Ma se dovesse capitarvi che alcuni di essi non reggano l’urto del tempo, abbiate pazienza. Voglio dire che, se rivedendo dopo molti decenni un vecchio amico di scuola vi sentirete delusi, se dopo le pacche, i “come stai vecchio mio”, i “ti ricordi” vi ritroverete a disagio, quasi imbarazzati, sappiate che non sempre sarà colpa dell’altro. Come scrisse acutamente Oscar Wilde: “Mi perdoni, signore, se non la riconosco. Il fatto è che io sono molto cambiato”.
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