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BUONANOTTE
17 Luglio 2023 - 06:30
Dedicato ai lodatori del passato
Mi ha sorpreso sentir dire alla radio da un sociologo che l’italiano del 1900 aveva una vita media di 543mila ore delle quali 236mila erano di lavoro, mentre quello del 2022 vive per 737mila ore, ma lavora solo per 106mila. I nostri trisnonni lavoravano (e duro) per quasi metà vita, mentre noi lavoriamo (con ben minore fatica grazie alle macchine) per un settimo.
Questo per chi rimpiange “i bei tempi andati”. Poi il sociologo ha detto che nel 1900 solo il 12% degli italiani viveva in città, mentre oggi più del 65%. Ho controllato e ho scoperto che il titolo di città in Italia viene concesso ai comuni con decreto del Re (fino al 1946) poi del Presidente della Repubblica, in virtù della loro importanza storica, artistica, civica o demografica.
Considerando che l’Istituto Enciclopedico Italiano definisce cittadine i centri che hanno tra i 10.001 e i 50.000 abitanti, si capisce che fra città e cittadine è facile superare quel 65% . Col criterio della densità e non del numero secco, la Ue definisce campagna i comuni con densità inferiore ai 250 ab/kmq in cui l’agricoltura costituisce l’unica attività o quasi, e quelli con densità da 250 a 2.500 ab/kmq, dove agricoltura e altre attività coesistono, ma la coltivazione tende a decrescere d’importanza fino a scomparire.
Sono invece città le circoscrizioni con densità superiore ai 2.500 ab/kmq in cui l’agricoltura non esiste quasi. Ne consegue che non è scomparsa la campagna, ma chi la lavora. Il sociologo, suggestivamente, divideva i due ambienti così: in città ci si dà del lei, nei paesi del tu. Ma questo è sbagliato. Se no i giovani sotto i 30 anni sarebbero tutti paesani. E’ vero che a volte sono villani, ma è un’altra faccenda.
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