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la svolta del dna
20 Marzo 2023 - 19:27
Sarah Gino, medico legale, mentre studia il microbioma
Il gancetto del reggiseno di Meredith Kercher, la studentessa uccisa a Perugia nel 2007. La sciarpa di una delle vittime del serial killer Maurizio Minghella, uccisa il giorno di San Valentino del 1998. Gli indumenti e i liquidi sul cadavere di Yara Gambirasio, scomparsa nel novembre 2010 e ritrovata morta tre mesi dopo.
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Il giallo della piccola Fatima, precipitata o lanciata dal ballatoio di via Milano un anno fa, a soli tre anni. Ogni grande caso di cronaca ha contribuito all’evoluzione della scienza forense. Ogni mistero da svelare ha spinto gli scienziati a trovare tecniche nuove per inchiodare i sospettati grazie ai segni che avevano lasciato. A volte sono bastati dei frammenti di tracce. Oggi, le scienze forensi e medico legali si sono talmente evolute che bastano «tre cellule» ritrovate sul luogo del delitto per risalire al Dna dell’assassino.
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Non solo. L’ultima frontiera della ricerca sta spingendo gli esperti a risalire non solo all’identikit del sospettato, ma alle sue abitudini di vita. Lo spiega Sarah Gino, medico legale, professoressa dell’Università del Piemonte orientale e consulente chiamata a risolvere in Italia negli ultimi vent’anni i casi di omicidio più complicati. Gino è stata recentemente nominata come consulente al processo sulla morte della piccola Fatima, dall’avvocata di parte civile Silvia Lorenzino. Il processo è ancora in corso. Parlando non di questo procedimento, ma in generale, l’esperta afferma: «Grazie alla ricerca e alle tecnologie che si sono evolute nel tempo, oggi possiamo lavorare sul Dna con tre cellule. Quando ho iniziato la professione, c’era bisogno di moltissimo Dna per venire a capo di un caso. Si diceva: o c’è una macchia di sangue sul luogo del delitto o non ha senso lavorare. Oggi ci basta pochissimo». Come una traccia (invisibile) da contatto sulla sciarpa intorno al collo della vittima. Molti a Torino ricordano il caso di Cosima Guido, prostituta uccisa nella propria casa di largo IV marzo e trovata nel 1999.
Oggi sappiamo che venne ammazzata dal serial killer Maurizio Minghella. Il caso è stato risolto dopo 15 anni, grazie ai progressi della scienza che analizza il Dna. «Non c’era sangue su quella sciarpa - racconta Gino - e l’inchiesta subì una battuta d’arresto. Poi, rianalizzando tracce vecchie non visibili ad occhio nudo, arrivammo al sospettato. Fu il pm che indagava sulla morte di Tina Motoc (altra vittima di Minghella trovata morta nel 2001 vicino alla tangenziale di Collegno, ndr) a darci il mandato di riprendere i vecchi casi irrisolti. Riguardammo la sciarpa nel 2002 e trovammo delle tracce bianche. Ahimé era saliva della vittima. Non ci serviva. Nel 2014 ristudiammo ancora quella sciarpa e questa volta trovammo delle tracce da contatto. Ipotizzammo che il killer l’avesse stretta toccando le due estremità e il nodo. Isolammo le tracce e trovammo il profilo genetico di Maurizio Minghella, dopo quasi vent’anni. Ecco perché il femminicidio di Cosima Guido ha fatto la storia della genetica forense».
«Dal caso Meredith invece - spiega Gino - abbiamo imparato le regole sulla conservazione dei reperti. Ci ha fatto comprendere come deve essere fatta la prima analisi della scena del crimine. Una volta si andava senza guanti né calzari. Il gancetto del reggiseno di Meredith venne mollato lì, in un punto della casa. Nel frattempo vennero fatti sopralluoghi da parte di tutti. Dopo 40 giorni venne trovato sotto un tappeto. Era diventato inutilizzabile. Eppure, sarebbe stato l’elemento che avrebbe collegato Raffaele Sollecito a quel luogo». Oggi Gino studia il microbioma. «Scopriamo risvolti interessanti - anticipa - come per esempio che alcuni soggetti, che avevano l’hobby del nuoto in mare, avevano particelle particolari che si trovano soltanto nell’acqua marina. Tutte informazioni in più che aiutano a restringere il campo». Il Dna, un giorno, forse ci racconterà non solo chi siamo, ma anche come viviamo.
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