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La svolta del 2035

L'auto elettrica? Sì, ma con il nucleare

Tavares, ceo di Stellantis: la priorità è trovare energia pulita, l'elettrificazione non basta. Cellino, Api: un piano Europeo per tutelare le aziende piemontesi

Electric Car in Charging Station.

auto elettrica

Sì, l’Europa ha - prevedibilmente - votato a favore della messa al bando dei motori termici dal 2035, ma a conti fatti è stato un voto inutile, se non altro perché come ampiamente ripetuto i grandi produttori avevano da tempo deciso di rispettare o addirittura anticipare questa data. Lo ha confermato anche Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, nel suo intervento al Freedom Mobility Forum: «Stellantis sarà pronta per rispettare la scadenza del 2035, ma le decisioni dell'Unione Europea andavano prese prima, magari nel 2014 o nel 2015». Già dal 2026, praticamente da domani, ci saranno colonnine di ricarica ogni 60 chilometri e cambierà la geografia delle nostre città. L’Italia, però, nel difendere non senza ragioni il suo settore industriale con 120mila posti di lavoro a rischio, prova a piantare una bandierina politica astenendosi dal voto, non rendendosi ben conto di come le decisioni siano state prese altrove. La rivoluzione elettrica, così, è diventata o sta rischiando di diventare il classico dito che indica la Luna.

Alla base, infatti, c’è il problema della produzione di energia, una energia pulita, come ha sottolineato ancora Tavares: «Senza una energia pulita l'elettrificazione della mobilità non è la soluzione alla questione delle emissioni. L’industria dell'auto sta attraversando una profonda trasformazione e le soluzioni che cerchiamo come industria, la maggior parte sull'elettrificazione, non risolveranno tutti i problemi». Ma dove cercare questa energia pulita?

In Europa spira un forte vento di ritorno al nucleare, questo è decisamente innegabile. E già un anno fa, il presidente di Exor John Elkann aveva sottolineato come «l'energia nucleare sarà fondamentale per affrontare la triplice sfida di ridurre la scarsità energetica, elettrificare le applicazioni industriali e sostituire i combustibili fossili». L’Italia, sappiamo bene, si oppone a targhe alterne alla questione nucleare: ma l’interrogativo non è se la politica prenderà o meno una decisione in un senso o nell’altro: è se sia stato già preso dai grandi industriali, proprio come accaduto per il traguardo del 2035.

Ciò che la politica - a livello europeo, ovviamente, perché questa non può essere una questione solo per l’Italia - può osservare, e su cui può intervenire, è l’aspetto pratico: «La grande sfida - sempre Tavares - è quella dell'accessibilità delle auto elettriche, che al momento non c'è perché le materie prime che servono per produrre le batterie sono scarse e costose. Prendiamo il litio: per sostituire il parco auto mondiale di 1,3 miliardi di unità con mezzi puliti, non sappiamo se c'è tutto il litio che serve e, considerando anche dove sono concentrate le miniere di litio, questo potrebbe creare altre questioni geopolitiche».

Di fronte a questi scenari, quindi, la difesa del motore termico diventa questione decisamente di secondo piano. «Manca una strategia europea - avvisa, non a caso, Fabrizio Cellino, presidente di Api Torino - che sia in grado di sostenere le imprese interessate alla trasformazione delle filiere di produzione anche con adeguate risorse economiche». Il rappresentante delle piccole imprese parla di effetti «economici e occupazionali» con migliaia di lavoratori a rischio. Di questo si deve preoccupare la politica, non di segnare un gol della bandiera quando la partita è già finita, fingendo non ce ne sia un’altra più importante in corso. 

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