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colpo di scena
04 Maggio 2023 - 21:37
Alex e la mamma Maria
Fu un «omicidio volontario», quello commesso da Alex Cotoia (ex Pompa), che ammazzò il padre nell’aprile del 2020 con 34 coltellate. Ma fu un omicidio che scaturì dalla «provocazione» da un padre violento. E condannare Alex a 14 anni di pena non sarebbe giusto, perché si tratterebbe di una pena «sproporzionata» per un ragazzo incensurato e semi infermo di mente.
Con queste motivazioni ieri, dopo sette ore di camera di consiglio, la Corte d’assise d’appello presieduta dalla giudice Cristina Domaneschi ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, trasmettendo gli atti alla Consulta e dichiarando il processo sospeso. La lettura dell’ordinanza (47 minuti e sette secondi) è terminata alle 20.30, dopo una giornata tesa. L’udienza sul caso che ha scosso le coscienze di tutta Italia era iniziata alle nove. Il pm Alessandro Aghemo ha ribadito la necessità di condannare Alex, che ha 21 anni, al minimo della pena per omicidio volontario: 14 anni.
Una condanna il cui calcolo è dettato dai codici - che prevedono il bilanciamento tra attenuanti e aggravanti - ma che però, secondo lo stesso pm, sarebbe eccessiva per un ragazzo che non ha precedenti, e che soprattutto, per tutta la sua vita ha vissuto in un «contesto familiare malato», come dichiarato dai giudici. Giuseppe Pompa, il padre ammazzato, per anni ha maltrattato la moglie, Maria Cotoia e i figli. E questo clima di terrore non può non essere considerato. La Corte d’Assise d’appello parla di un «controllo opprimente dell’altro», da parte della vittima, della sua «gelosia eccessiva». La sera del delitto l’imputato «aveva ritenuto che il padre stesse andando a prendere un coltello» in cucina, e «lo aveva preceduto», «ponendo in essere un’azione offensiva». Ma Alex non agì, secondo i giudici, per «legittima difesa» e non esiste «nessun elemento utile ad avvalorare» la tesi. «Nemmeno dalle deposizioni dei due testimoni», ha ribadito la Corte, riferendosi al fratello Loris e alla madre Maria, che sarebbero «con verosimiglianza testimoni oculari».
«Deve dissentirsi in ordine alle valutazioni sulla loro attendibilità», ha dichiarato la presidente della Corte d’assise d’appello, che afferma che vi sarebbe stato da entrambi un «condiviso tentativo, certo umanamente comprensibile, di accreditare la tesi della legittima difesa», enfatizzando l’atteggiamento violento di Pompa e omettendo di raccontare certi dettagli, con «consapevole reticenza sullo sviluppo dell’azione delittuosa» e «spostando il focus sul contesto familiare malato».
Siccome la mamma e il fratello non sarebbero credibile, è impossibile pensare che «da tali testimonianze si ricavino elementi utili per la sussistenza della legittima difesa». La sentenza di assoluzione di primo grado sarebbe quindi «forzata e disancorata da dati oggettivi».
Per contestare la legittima difesa infatti, «non può dirsi certamente sufficiente un pericolo eventuale, futuro e meramente probabile». Il padre era aggressivo, ma disarmato, quella sera. Fu quindi un «omicidio volontario» quello di Alex, ma «l’attenuante della provocazione può ritenersi sussistente», perché «l’imputato agì in uno stato d’ira perdendo il controllo di sè, in conseguenza di un fatto ingiusto». Alex «si era fatto carico della protezione della madre», ha ribadito la Corte, in un contesto di «malate dinamiche familiari, sofferte suo malgrado». Ecco perché una condanna a 14 anni non sarebbe giusta ma «sproporzionata» verso il giovane, e presenterebbe, secondo i giudici, «profili di illegittimità costituzionale, per uguaglianza e proporzionalità della pena al fine della rieducazione». La palla passa alla Corte costituzionale. In attesa che il processo torni a Torino, in vista di un abbassamento della condanna. Non è soddisfatto l’avvocato Claudio Strata: «L’ordinanza è già una sentenza: Alex verrà condannato. Non sono d’accordo. Agì per legittima difesa». La madre Maria scoppia a piangere: «Mio figlio non è un delinquente. Se sono ancora qui, è per lui».
(ha collaborato Ludovica Lopetti)
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