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L'INTERVISTA DELLA SETTIMANA
27 Agosto 2023 - 08:00
A volte il richiamo della natura è più forte di tutto il resto perché rappresenta l’unica cosa che può dare un senso alla nostra vita. Come ne “Il richiamo della foresta” di Jack London, Enrico Maria Girardi, insieme ai suoi fedeli amici a quattro zampe, ha deciso di trasferirsi in Abruzzo a Roccamorice, per fare il pastore nel parco della Majella. Un luogo incontaminato dove i greggi pascolano liberamente e mangiano erba buona.
Enrico, come ha deciso di diventare pastore?
«Ho sempre avuto la passione per la natura selvaggia e la montagna fin da quando ero piccolo anche se sono cresciuto a Torino dove ho vissuto per diversi anni prima di trasferirmi a Roma. Qui mi sono accorto che la città non faceva per me, così appena sono venuto a conoscenza della possibilità di gestire un gregge di pecore in Abruzzo ho deciso di cambiare vita lasciando il passato alle spalle».
Un bel cambio di vita...
«Sì, a Torino e a Roma mi sembrava di perdere tempo. Ho lavorato a lungo nella ristorazione ma sentivo che non era abbastanza. C’erano troppe distrazioni che non mi permettevano di realizzarmi a pieno. Qui invece è tutto molto diverso. La natura è la mia nuova casa. Per contro non stacco mai la spina. Le pecore hanno sempre bisogno del loro pastore che le guidi e le protegga. Per fortuna ho trovato dei validi aiutanti».
Chi sono i suoi aiutanti?
«I miei cani. Ognuno di loro ha un nome, c’era “Briseide”, una meticcia trovata in Sicilia che mi ha accompagnato nel mio cambio di vita, poi ora c’è “Cheyenne”, più piccolina ma tutto pepe. Il cane da pastore è Vienna, una Border Collie molto intelligente, e poi ci sono loro, i pastori abruzzesi difensori del gregge, come “Randagio” il re della Majella, molto forte, coraggioso e schivo, “Zanna Bianca”, “Biondo” e “Romeo”, un incrocio con un San Bernardo, il più pigro ma anche il più simpatico».
Ha un rapporto molto profondo con i suoi cani, cosa rappresentano per lei?
«Sono come una famiglia. Oltre a difendere il gregge dai lupi e a tenerlo compatto mi trasmettono forti emozioni. Molto più di certi umani. Sono fedeli e farebbero di tutto per me e ovviamente per il gregge. Qui gli animali sono quasi come le persone, vanno in giro per il paese liberi, sono rispettati e temuti, a volte anche oltraggiati. Viene comunque dato loro un ruolo molto importante forse anche perché se ne vedono tanti in giro. Facendo una semplice passeggiata per esempio è molto facile incontrare volpi e cinghiali sul ciglio della strada».
Va bene l’amore per gli animali ma come fa a mantenersi?
«Ho iniziato a produrre il formaggio con le pecore, il “pecorino della Majella” lavorato a latte crudo, rilevando un vecchio caseificio in centro al paese. E’ un prodotto totalmente naturale realizzato da pecore che brucano l’erba della Majella che conta 2.100 specie di flora, circa il 30% di quella presenti in tutto il territorio nazionale».
Ci parli delle sue pecore, come si gestisce un gregge?
«Bisogna muoversi tanto, alzare spesso la voce e controllarle costantemente. Avevo 200 pecore sarde, ma tra malattie e attacchi dei lupi me ne sono rimaste poche e produco il formaggio grazie al latte delle pecore di altri pastori della Majella».
Riesce a fare tutto da solo?
«E’ un lavoro molto faticoso ma mi do da fare. Mio padre Ettore e mia sorella Giulia che vivono a Torino spesso vengono giù per darmi una mano. Anche tra pastori ci aiutiamo a vicenda».
Ci può descrivere la sua giornata tipo?
«Mi sveglio alle 5 del mattino e vado a controllare i cani e le pecore nello “stazzo” in alto, poi le porto al pascolo per tutto il giorno. In certi periodi le mungo e con il latte e realizzo il formaggio nel caseificio. Alla sera sono stravolto e vado a dormire presto insieme ai miei cani. Questo accadeva fino a qualche tempo fa. Ora mi sto dedicando di più alla produzione e alla vendita del formaggio. Faccio quasi tutto da solo, anche perché trovare dei soci da queste parti non è facile. E' una vita sana che richiede però tante energie».
Qual è la difficoltà più grande nel suo lavoro?
«Bisogna sempre stare all’erta. Durante il pascolo spesso le pecore che rimangono indietro vengono attaccate dai lupi. Ho assistito a tante battaglie con i miei cani che sono disposti a dare la vita per difendere il gregge. I lupi invece non arrivano a tanto, sanno bene che non possono essere curati in natura e quindi quando vengono attaccati scappano. Spesso uccidono le pecore mordendole alla gola ma il più delle volte non fanno in tempo a mangiarsele».
Progetti per il futuro?
«Comprare un nuovo gregge di pecore autoctone e dare valore a un prodotto al 100% “Made in Italy” perché la Majella è anche questo. Ho una pagina Facebook: “Caseificio del parco della Majella” in cui è possibile vedere ciò che faccio e ordinare il mio formaggio inviando un messaggio».
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