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LA SENTENZA

Coppie gay, il "no" dei giudici ad Antonella e Claudia: «Non possono essere entrambe madri»

Si infrange in Corte d'Appello il sogno di maternità delle due donne di Trofarello che avevano concepito due gemelli con la fecondazione eterologa in Spagna. Condannate anche al pagamento delle spese legali

Coppie gay, il "no" dei giudici ad Antonella e Claudia: «Non possono essere entrambe madri»

Antonella e Claudia, 41 e 33 anni, hanno concepito due gemelli in Spagna

«Non possono essere entrambe madri dei loro figli». Si infrange così in Corte d’Appello il sogno di Antonella e Claudia, 41 e 33 anni, che speravano di vedersi riconosciute la maternità dei due gemelli concepiti in Spagna, attraverso la fecondazione eterologa e nati a Torino. Al “niet” arrivato dal Comune di Trofarello alla richiesta di registrazione delle nascite, nonostante fossero unite civilmente dal 2021, s’aggiunge la sentenza dei giudici che hanno rigettato il reclamo presentato dalle due donne confermando, così, il pronunciamento di primo grado. Antonella e Claudia chiedevano di essere riconosciute entrambe come mamme legittime dei propri figli.

La Corte d’Appello ha affermato che le due madri non hanno diritto a essere riconosciute come tali nell’atto di nascita, visto il divieto di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie di persone dello stesso sesso secondo l’articolo 5 della legge 40 del 2004. In più, hanno condannato la coppia al pagamento delle spese di giudizio, pari circa 4.857 euro a favore del Comune di Trofarello.

Il caso è seguito dall’avvocata Filomena Gallo, difensore della coppia e segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, secondo la quale «la decisione della Corte d’Appello non sembra essere stata adottata a tutela dell’interesse dei minori, anzi sembrerebbe una decisione che rispetta l’orientamento politico attuale privo di effettivo fondamento normativo. Ne è un chiaro segnale la pesante condanna al pagamento delle spese di giudizio disposta dai giudici. Non solo si nega il diritto di Antonella e Claudia di essere riconosciute entrambe madri dei propri figli, non solo si nega a due bambini il diritto di essere riconosciuti come figli legittimi dallo Stato, ma addirittura si condannano due donne, che vorrebbero solo essere riconosciute legalmente entrambe come madri a maggiore tutela dei propri figli, senza discriminazioni, a pagare tutte le spese di giudizio».

Claudia e Antonella hanno deciso di continuare la battaglia giudiziaria affinché «i loro figli abbiano piena tutela con due genitori legittimi, senza nessuna forma di discriminazione rispetto ai figli nati da coppie di sesso diverso che pure accedono alle tecniche di fecondazione assistita eterologa e che per legge sono genitori legittimi, senza dover ricorrere all’adozione come si consiglia alle coppie dello stesso sesso».La Corte d’Appello di Torino nel rigettare il reclamo di Antonella e Claudia, secondo l’avvocata Gallo, «non solo ha affermato che due madri non hanno diritto di essere indicate come tali nell’atto di nascita dei propri figli, con la grave conseguenza che per il nostro ordinamento la madre intenzionale non è riconosciuta come tale anche dalla legge e quindi tra questa e i bambini non sussiste alcun rapporto di filiazione; ma ha anche affermato che l’interesse dei minori è comunque tutelato, vista la possibilità di ricorrere all’adozione in casi particolari».

Da qui il riferimento ai pronunciamenti della Corte costituzionale che «ha evidenziato l’inidoneità di questo istituto a garantire la migliore tutela possibile ai minori nati a seguito di tecniche di procreazione medicalmente assistita eseguite all’estero: la Corte d’Appello forse lo ha dimenticato? Questa posizione dei giudici, inoltre, dimostra come la magistratura in questo caso non abbia a mente la situazione di fatto in cui la famiglia è inserita: suggerisce di ricorrere all’adozione in casi particolari, ma forse dimentica che questo significa instaurare un nuovo giudizio, con lunghi tempi d’attesa e profonde criticità connesse anche alla necessità che la madre intenzionale sia giudicata idonea ad adottare dai servizi sociali. Come se non avesse finora dimostrato di essere una brava madre».

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