Cerca

Lo spot discusso

A Esselunga non c'è la famiglia del Mulino Bianco

La pesca e la separazione dei genitorivista con gli occhi dei figli

La pesca

La bimba a Esselunga

Dai, destinato a “spaccare”. La storia: una mamma smarrisce la propria figlia all’interno di un supermercato. Inizia a chiedere, gira fra le corsie, cresce la suspance ma alla fine la trova davanti al banco frutta, intenta a scegliere una pesca una. Spaventata, acconsente a prendergliela come fosse una Barbie. La vuoi? Te la prendo, ma non farlo mai più! (eh, ma anche tu…stacce attenta, no?). Sequenza rullo sulla cassa, la pesca da sola… e il sacchetto per l’ortofrutta? E l’etichetta?...(vabbè, peccato veniale). Parcheggio esterno, la mamma apre il cofano, depone le buste con la spesa. Sequenza auto. Qui il regista è davvero paraculo-funzionale, inserisce una sequenza apparentemente innocente (lo spettatore non sa come andrà a finire la storia).

Sta di fatto che durante il tragitto in auto la mamma prova a stuzzicarla chiedendole cose relative alla sua giornata a scuola…”La maestra mi ha detto hai fatto un bel disegno” e poi passa alla descrizione. La bambina, come da copione non se la fila per nulla, osserva questa coppia, al di là del finestrino, che gioca per strada con il loro bambino. Keep in mind. Arrivano a casa, scena davanti alla tv (ovviamente con programmi dedicati) la mamma ci gioca, finalmente alla bimba scappa una risata (dopo ben 1,50’ circa)… Citofono. Sorpresa! Ecco il babbo. Un bel tomo, vestito casual, “Emma, c’è papà”. Emma raccoglie le sue cose, uno zainetto e scende. Piano sequenza, con la macchina da presa posta nell’androne che la riprende di spalle mentre corre verso il papà che l'attende in strada. Scena sul marciapiede. Entrambi si incamminano, il padre le rivolge le frasi di rito “tutto bene?”. Qui il regista “taglia” regalando allo spettatore la scena della mamma che osserva dalla finestra il loro incamminarsi. Un’altra scena funzionale. Emma ed il su’ babbo salgono sull’auto del babbo. Il babbo le apre lo sportello. Emma estrae la pesca (quella di prima, presa al supermercato) la porge al padre e con noncuranza esclama “questa te la manda la mamma”. Il padre resta di sale solo un attimo, si volta a guardare dietro le finestre. La presenza di tendine impedisce di vedere se la mamma è ancora li a gustarsi la scena. “Davvero me la manda la mamma?”. Emma annuisce. “Allora dopo chiamo la mamma per ringraziarla” le dice con tono accomodante.

Piano sequenza finale: il babbo entra, si mette al volante, Emma, inquadrata per un attimo è raggiante. La pesca campeggia in primo piano, poggiata su un giubotto jeans mentre nel centro del video campeggia il claim tanto atteso: non c’è una spesa che non sia importante, Esselunga”. Ora, lo spot dura ben 2 minuti. In tv sono considerati tempi biblici. Non ho idea di quanto sia costato,  e per realizzarlo e per comprare lo spazio necessario alla sua visione. Due considerazioni. Perché ricorrere ai sentimenti dei bambini per veicolare un brand? Si dirà, eh ma lo fanno in tanti. Ok. Bene, allora in questo senso lo spot non sposta nulla, tutto già visto. Ma Esselunga avrà una ricaduta sul fatturato? Lo spot è molto “ruffiano”. Fa leva su una condizione sociale molto attuale e condivisa (non ho voglia di compulsare il sito ISTAT per scoprire il trend delle separazioni). Resta il fatto che fra le tante critiche che gli si possono muovere (e al di là dell’intento “commerciale” di lisciare il pelo a chi si trova in analoghe condizioni) è una delle poche volte nelle quali una separazione viene vista con gli occhi “terzi” di un figlio/a. Non è il caso di scomodare trattati di sociologia o psicologia infantile per concordare che spesso si tratta di traumi difficilmente ricomponibili. A quell’età non si possiedono ancora strumenti in grado di poter aiutare ad interpretare correttamente la situazione riportandola su un terreno “logico”. Traduco: che mi frega se si sono separati, mi continuano a volere bene? Amen, a me questo importa.

Resta il fatto che fra le tante critiche che gli si possono muovere (e al di là dell’intento “commerciale” di lisciare il pelo a chi si trova in analoghe condizioni) è una delle poche volte nelle quali una separazione viene vista con gli occhi “terzi” di un figlio/a.

Ecco abbiamo dato per scontato che alla lunga potessero prenderla così, i nostri figli. Ma davvero nessuno se ne è mai curato più di tanto. Sempre e soltanto, queste storie, raccontate dal punto di vista dei genitori (chi sceglie e chi subisce, raramente di comune accordo…e lo so, adesso mi attiro le critiche di tante femministe, ma in larghissima parte anche il substrato dal quale poi fuoriescono ahimè talvolta, anche i cosiddetti femminicidi). Tutto molto bello, applausi del pubblico. Fa incazzare? Scatena i sensi di colpa dei tanti genitori che si “leggono” in questa condizione? Sta di fatto che per innescare, anche bene alla lontana, uno straccio di dibattito (e “presa d’atto”) sul tema, ci sia voluto uno spot piuttosto ruffiano che reclamizza una catena della grande distribuzione.

Siamo sicuri che, stante la difficoltà di veicolare messaggi positivi, nell’era dei social dove il tempo è tutto e il conseguente trionfo della sintesi ottiene il primato fra ciò che è “ricordabile”, non diventerà questo un modo col quale interrogarsi, lanciare sassi nello stagno, smuovere in “qualche modo” le coscienze, fra chi si sentirà “colpito” dall’essere stato messo difronte ad un punto di vista non sufficientemente considerato e chi lo bollerà come ennesima paraculata tanto per far parlare un po’ di se, e magari del brand? Fosse cosi, lo spot ha fatto centro! Bravi

Giuseppe Palamà

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Logo Federazione Italiana Liberi Editori L'associazione aderisce all'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria - IAP vincolando tutti i suoi Associati al rispetto del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e delle decisioni del Giurì e de Comitato di Controllo.