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Il Borghese

Da Monaco a Entebbe, le ragioni di Israele e i crimini del terrorismo

Una lettera aperta del filosofo Jürgen Habermas giustifica e legittima la reazione di Tel Aviv dopo il barbaro attacco del 7 ottobre

Gli ostaggi

Gli ostaggi prigionieri di Hamas

Non sono trascorsi neppure due mesi dal 7 ottobre, ma il consenso per la reazione di Israele, fin dall’inizio espresso in maniera poco convinta da opinion leader di schieramento progressista, è venuto meno e quella data sembra la si voglia rimuovere dalla memoria collettiva. Questo fino a ieri, perché il più noto pensatore dell’epoca moderna, il filosofo e sociologo della Scuola di Francoforte, Jürgen Habermas, per decenni vessillo del pensiero marxista (proprio lui che marxista non lo è mai stato), ha detto la sua riguardo la guerra tra Israele e Hamas. L’allievo di Theodor Adorno ha preso carta e penna e ha scritto una lettera aperta il cui contenuto si può sintetizzare in un’unica frase: «La reazione di Israele al massacro del 7 ottobre è giustificata».

Jürgen Habermas, filosofo e sociologo della Scuola di Francoforte

Invece, non è «giustificato», secondo il filosofo tedesco, il «giustificazionismo del ter rore di Hamas» che sembra andare molto di moda. Habermas non esprime giudizi di valore (“giusto o sbagliato”), ma si limita al concetto di «giustificazione» che è l’essenza delle azioni durante un conflitto. Sacrosanto perseguire la pace, ma la guerra è la guerra. E il conflitto coinvolge uno stato democratico, Israele, e un’organizzazione terroristica internazionale, Hamas, che dopo aver colpito, massacrato 1.400 civili e catturato centinaia di ostaggi, si fa scudo con una popolazione innocente e sfruttata, quella palestinese, lasciata morire sotto i missili, mentre i macellai strisciano come vermi nei cunicoli scavati sotto la Striscia di Gaza.

Un terrorista di Hamas in assetto da combattimento

I terroristi combattenti sono tutti lì (anche se non li vede più nessuno), mentre i loro capi se la spassano in lussuose suite nel Quatar, in Iran, Libano o chissà dove. Oggi sono gli stessi palestinesi a inveire contro Hamas: «Per loro l’attacco del 7 ottobre avrebbe riportato la questione palestinese al centro della politica in Medio Oriente, però adesso a pagare il prezzo della reazione militare israeliana è la gente comune, i bambini, i malati negli ospedali», ha dichiarato alla stampa internazionale Fadi Abu Shammala, direttore dei centri culturali di Gaza. E Hamas comincia a capire che la strategia sanguinaria che ha adottato, presenta le prime crepe; che a nulla valgono gli appelli messianici via satellite di Ismail Haniyeh, fondatore di Hamas («Abbiamo bisogno del sangue di donne e bambini») o i metodi da macellaio di Yahya Sinwar, il capo militare dell’organizzazione terroristica. I due sono braccati da Mossad e Cia, e possono contare sempre meno, sul silenzio e sulla complicità di un popolo piegato dalla guerra.

Il fondatore di Hamas, Ismail Haniyeh

Per tornare a casa nostra e senza scomodare Jürgen Habermas, sono assolutamente di buon senso e significative le parole dal papà della leader del Pd Elly Schlein. Il professor Melvin che negli anni 60 lavorava come volontario nel kibbutz di Nahal Oz, ha ricordato che ai tempi, in Israele, dormiva con il mitra sotto il cuscino e che non comprende appieno le posizioni della figlia sulla guerra di Gaza. Capisce bene, invece, la reazione israeliana che non è una novità; si pensi a quella messa in atto dopo l’eccidio alle Olimpiadi di Monaco del 1972. Negli anni successivi, non avendo potuto intervenire direttamente in Germania, il Mossad raggiunse e uccise, uno ad uno, tutti i mandanti e gli organizzatori palestinesi del rapimento degli atleti di Gerusalemme. Ma ancor più significativo è stato il raid di Entebbe (in Uganda), quando le forze speciali dell’esercito israeliano liberarono, al comando di Yonatan Netanyahu (eroe nazionale, ucciso nel blitz e fratello dell’attuale premier), più di 100 ebrei tenuti in ostaggio in un hangar dell’aeroporto di Entebbe.

Idi Amin Dada

In neppure mezz’ora, dopo un volo di otto ore a bassa quota per non essere intercettati dai radar, gli aerei israeliani atterrarono, uccisero i sei terroristi e i 45 soldati delle truppe del dittatore antropofago Idi Amin Dada, imbarcarono i connazionali e tornarono a Tel Aviv. La democrazia di Israele, saldamente ancorata ai valori dell’Occidente, è questa: l’espressione di un popolo che dopo l’Olocausto, difende la sopravvivenza della nazione secondo le regole della pace in tempi di pace (gli accordi di Camp David) e quelle della guerra in tempi di guerra.

Il direttore della Cia William Burns

Non è accettabile, per gli israeliani, come per chiunque, che i terroristi che hanno massacrato innocenti e preso in ostaggio centinaia di persone, restino impuniti. Il significato della guerra di Gaza è solo questo. Semmai si può discutere sulla strategia militare, solo apparentemente più convincente (ma molto rischiosa), è quella ipotizzata dalla Cia che vorrebbe ripetere l’operazione “Cyclone” messa in atto in Afghanistan, quando armò i mujaheddin per sconfiggere i sovietici. Ma poi si sa come è andata a finire, e quelle armi si sono poi rivolte contro il mondo occidentale.

Yonatan Netanyahu, eroe nazionale e fratello del premier israeliano, rimasto ucciso nel raid di Entebbe

 

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