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Le inchieste
18 Marzo 2024 - 19:30
Ci sono i 14enni che, fra loro, si chiamano "Gucci" e "Cartier" e colpiscono alla stazione di Porta Susa per fare razzia proprio di borse e oggetti firmati. Una banda di venti ragazzini di origine centrafricana che pedinano le loro prede, le accerchiano e portano via tutto. Poi scappano sul treno. Stile simile a quello di un'altra banda che colpiva alla stazione di Porta Nuova: ragazzi più grandi, sui 20 anni, di origine marocchina. Che picchiavano e minacciavano le vittime per farsi consegnare telefono e soldi, costringendoli pure a prelevare al bancomat: «Se gridi ti ammazzo».
La polizia ferroviaria è riuscita a identificare due rapinatori di Porta Nuova: uno si chiama Achraf Bousif ed era già stato denunciato per aver scassinato l'Old Wild West dentro la stazione, portando via l'intero registratore di cassa. Ma ora è irreperibile, probabilmente é scappato in Francia dopo essere stato intercettato per l'ultima volta alla frontiera a Domodossola. L'altro è il 20enne Amin Safi, assistito dall'avvocato Alberto Bosio, che era già in carcere ma sarebbe tornato libero fra quattro giorni. Invece rimarrà in cella perché accusato di rapina, minacce, sequestro di persona, utilizzo indebito di carte di credito e accesso abusivo a sistema informatico.
Gli episodi contestati sono avvenuti tutti fra novembre e dicembre, in piena notte, nella zona attorno alla stazione. La strategia della coppia di rapinatori era sempre la stessa: sceglievano loro coetanei rimasti soli, li avvicinavano e li minacciavano, facendo capire che erano armati. Bastavano quasi sempre poche parole: «Non mi far chiamare l'amico mio che è appena uscito di galera per omicidio». Oppure «ringrazia che lui non sa parlare italiano altrimenti eri già per terra sanguinante». Così riuscivano a prendere tutto quello che avevano in tasca, oltre a cellulari, orologi e giubbotti di marca Moncler. Poi, se non bastava, trascinavano i ragazzi al bancomat più vicino e li costringevano a prelevare tutto quello che potevano: in un caso hanno usato il cellulare del rapinato per comprare un iPhone da 1.400 euro, andando poi a ritirarlo in negozio. In un altro hanno sequestrato la vittima per sei ore, poi gli hanno intimato: «Non fare denuncia perché so dove abiti».
A questa inchiesta, coordinata dal pubblico ministero Valentina Sellaroli, se ne aggiunge un'altra che compete alla Procura dei minori (ed è ancora in corso). I protagonisti hanno tra i 14 e i 15 anni: una vera e propria baby gang di ragazzini, che in parte sono stati rintracciati dai poliziotti.
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