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il colloquio

L'imam di Barriera sul caso di Fatima: «Nozze combinate? Follia. Per l'Islam siamo tutti uguali»

Parla Brahim Baya, presidente delle moschee di via Chivasso e via Reycend

L'inaugurazione di Yalla Aurora con l'assessora Chiara Foglietta

L'inaugurazione di Yalla Aurora con l'assessora Chiara Foglietta

«Per l’Islam gli uomini e le donne sono uguali. Ed è giusto che le istituzioni intervengano se non rispettano i diritti». A parlare è il presidente delle moschee Taiba di via Chivasso e Rayan di via Reycend, Brahim Baya. Guida spirituale di due comunità musulmane di Torino, conosce molto bene i riti e le tradizioni di una religione, l’Islam, che ancora oggi spaventa molti in Italia. Soprattutto quando si sentono storie come quella di Fatima, data in sposa a un uomo molto più grande di lei quando aveva solamente 13 anni (la storia racconta nella pagina accanto): «Ormai in Marocco non funziona più così - premette Baya -. Forse succede ancora in qualche campagna remota, ma non è una questione di tradizione. Anzi, è una follia». Dunque, non esistono più i matrimoni combinati? «Sì, ci sono o ci sono stati ovunque, anche in Italia: il mondo andava così e va ancora così in Paesi come il Bangladesh o il Pakistan, dove organizzano matrimoni quando gli sposi sono ancora giovanissimi. Ma ormai in Marocco c’è una società occidentale e i due sposi devono accettare, non possono solo subire la volontà della famiglia. Non conosco casi “imposti”, al massimo ci sono famiglie che cercano di forzare e “tagliano i ponti” se uno si rifiuta. Ma in Italia i ragazzi conoscono i loro diritti, che non vanno violati. Infatti intervengono giustamente i servizi sociali». Oltre che direttore del centro Yalla Aurora, Baya è anche presidente dell’associazione Aia e segretario di Psm (Partecipazione e spiritualità musulmana): «Noi, come associazione, lavoriamo molto con i servizi sociali proprio per evitare casi al limite e tutelare la comunità: per esempio, abbiamo segnalato la situazione di una donna abbandonata dal marito e rimasta solo con i bambini di 2 e 3 anni. Aveva bisogno di un sostegno, anche psicologico».

Le comunità musulmane torinesi devono anche affrontare il problema dell’integrazione: «E’ una parola abusata che vale per chi arriva da adulto - premette Baya -. Qui dobbiamo parlare di inclusione. Abbiamo un progetto finanziato dal Comune che prevede incontri per accompagnare i genitori nell’educazione dei figli che crescono tra due culture. Questi ragazzi vivono una “doppia assenza”, visto che non si sentono né italiani né marocchini. Per evitare crisi di identità, serve il sostegno della famiglia ma anche della scuola, dei servizi e di una legge che li riconosca come italiani». Un’eventualità che fa discutere, anche per il comportamento di molti stranieri: «Tutti abbiamo bagagli positivi o negativi: in America gli italiani hanno portato il buon cibo, la musica ma anche la mafia. E’ giusto contestare e contrastare quello che non va». Comprese le tradizioni religiose che vedono le donne sottomesse agli uomini e costrette a pregare in luoghi separati o a indossare il velo? «Ci sono tradizioni maschiliste, patriarcali e misogine che lottiamo per abbandonare. Non è neanche la religione musulmana a prevederle: l’Islam dà un messaggio di liberazione della donna dall’uomo e dell’uomo, in generale, dal suo ego e dalla sua sete di potere. Nel Corano siamo tutti servitori di Dio allo stesso modo, con totale uguaglianza davanti a lui».

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