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L'INTERVISTA

Vannacci: «Anche io al Gay Pride insieme a una amica, mi è sembrato il circo»

Il generale, oggi, eurodeputato con la Lega di Matteo Salvini si confessa: «Mi hanno fatto anche qualche occhiolino, nulla di più»

«Anche io al Gay Pride insieme ad una amica, mi è sembrato il circo»

Generale è di nuovo tempo di Pride a Torino: ora non solo da scrittore ma da eurodeputato, cosa ne pensa?
«Penso sia una manifestazione ormai entrata nella consuetudine e quindi ha perso il suo scopo originale di stupire e creare sconcerto. Non fa più clamore, non gliene frega niente alla maggioranza degli Italiani che vanno al mare o a divertirsi. Ormai è rientrata in quello che tutti si aspettano. Spero solo che al fine di darsi un tono non si riconfiguri, come in molte edizioni passate, in una sfilata di sconcezze…se non altro per il sobrio e compito senza bisogno di sfoggiare nudità o a altre eccentricità in giro per le strade dei nostri centri urbani».
Conferma che per lei quelle persone non sono normali?
«Confermo, è questione di statistica. A meno che non siano cambiate le figure principali su cui si basa questa scienza ovvero la norma, la mediana e la media aritmetica. La statistica non ammette altre soluzioni. E, come detto più volte, sono il primo a rifuggire la normalità ma non per questo voglio modificare il significato di questo termine assegnandogli una connotazione positiva o negativa.
Lei è mai stato a un Gay Pride?
«Sì, ci sono stato, nel 2007. Ero vicino piazza San Giovanni a Roma, con un’amica notammo un assembramento di persone e siamo andati a dare un’occhiata. Tutto qua. All’epoca sfilavano carri con transessuali inrossettati con il petto scoperto e persone seminude tenute al guinzaglio o in catene… Una sorta di circo. Abbiamo assistito per un po’ allo spettacolo eccentrico, come se si trattasse di una fiera delle stranezze, ci siamo guardati intorno e poi abbiamo proseguito verso il Colosseo».
Lei è un bell’uomo, non è stato abbordato?
«In maniera esplicita, no. Qualche ammiccamento, l’occhiolino, sì, mi è capitato ma non ho dato importanza. Nulla di plateale insomma».
Ci sono gay nell’esercito?
«L’esercito rappresenta una fetta della società, quindi, ritengo che le percentuali siano rispettate, ma è una cosa non sentita. Fortunatamente nell’Esercito siamo tutti soldati, siamo tutti vestiti uguali e rispettiamo le medesime norme. Le predilezioni sessuali fanno parte della vita privata e non della vita comune e nessuno sente la necessità di esibire le proprie preferenze intime in caserma. Almeno nella mia esperienza professionale non mi è mai capitato. I miei militari li ho sempre trattati da soldati senza curarmi del loro censo, del loro colore della pelle, della loro religione, del loro genere o delle loro predilezioni sessuali, forse questo è stato l’atteggiamento vincente».
Come considera il fatto che quest’anno il Pride ha celebrato la Palestina?
«Una boiata terribile e conferma la mia teoria che i movimenti come l’ideologia green, il femminismo estremo, l’esaltazione della non eterosessualità, la cancel culture e la cultura woke abbiano come scopo principale la disarticolazione della società moderna occidentale. Mi devono spiegare come faccia un appartenente agli lgbtq+++ ad appoggiare la Palestina. Mi risulta impossibile pensare che una manifestazione simile appoggi un territorio dove l’omosessualità è considerata un reato. Tanto è vero che gli omosessuali palestinesi vanno a fare serata in Israele, a Tel Aviv, altrimenti verrebbero arrestati in Palestina».
Se quello del Pride è solo esibizionismo come combattere la discriminazione?
«Come ho già avuto modo di dire, le discriminazioni avvengono sul piano dei diritti e della dignità. Ancora mi sfugge capire dove siano le discriminazioni per le persone non eterosessuali: le leggi in Italia sono applicate universalmente e si applicano a tutti indistintamente. Quindi cosa chiede questo Pride? Cosa vuole questo Pride, se non è esibizionismo? Essere non eterosessuale oggi significa essere un privilegiato: non puoi essere licenziato, bocciato, selezionato, escluso da un concorso o da una attività perché comunque viene tirato in ballo l’orientamento sessuale diverso e la presunta omofobia; godono delle “quote arcobaleno” ormai applicate in tantissimi ambiti; sono sovrarappresentati in tutti i media; possono avocare la “carriera alias” e l’”identità di genere”. Io voglio l’identità di età e nessuno me la concede. Ma se conta la percezione, e solo la percezione, perché se voglio mi posso percepire donna, e tutti mi devono trattare come tale, ma non posso percepirmi come un ventenne nonostante abbia passato la cinquantina? Percependomi donna potrei beneficiare delle quote rosa, e nessuno direbbe niente, percependomi ventenne potrei stipulare un mutuo quarantennale in banca, ma nessuno me la concede questa percezione. Eppure il ragionamento è lo stesso, non fa una piega».
L’Italia, secondo lei, è un Paese per i gay? Visto che per il sito gay.it l’Italia sembra 36esima su 49 stati europei per uguaglianza e diritti per la comunità LGBT…
«Il sito Gay.it non è certo da prendere come punto di riferimento. L’Italia spero sia un paese per Italiani, per coloro che, a prescindere dal colore della pelle, dal genere, dall’orientamento sessuale o dal credo politico si stringono intorno ai medesimi valori e principi e sono disposti a morire per essi. Non esistono paesi per gay come non esistono paesi per mori o per biondi o per vegani e carnivori. Sono il primo a non fare differenze. Sicuramente l’Italia non fa parte di quei 74 paesi nel mondo in cui l’omosessualità è considerata un reato, 74 Paesi con cui noi intratteniamo spesso floride relazioni internazionali, diplomatiche e commerciali e spesso meta turistica degli stessi omosessuali che qui in Italia sfilano al gay pride e rivendicano sempre più diritti. Paesi in cui molti omosessuali vanno a lavorare con grande piacere perché, si sa, pecunia non olet».

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