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La storia

Pestata e violentata per 5 ore nella cantina del bar

L'accusato è il datore di lavoro, che avrebbe abusato della sua dipendente ventenne

Pestata e violentata per 5 ore nella cantina del bar

Quell’uomo, suo “capo” nel bar del quartiere Aurora, l’ha attirata nella cantina del locale con una scusa. Poi l’ha tenuta segregata lì per almeno cinque ore. Intanto l’ha costretta a sniffare cocaina e ad avere rapporti orali, arrivando a strapparle una ciocca di capelli nella foga del momento.
E’ il racconto dell’orrore di una ventenne torinese, che ha denunciato quello che avrebbe subito la mattina del 28 gennaio scorso. Da lì sono partite le indagini della Squadra mobile, che hanno portato all’arresto di un 39enne di origine albanese, che ora rischia di finire a processo con l’accusa di violenza sessuale: il pubblico ministero Davide Pretti ha chiuso le indagini e chiesto il rinvio a giudizio, in vista dell’udienza preliminare fissata per martedì. Quando l’imputato, difeso dagli avvocati Mario Bertolino e Pierpaolo Berardi, negherà tutto e professerà la sua innocenza. Tutto il contrario di quello che sostiene la parte offesa, assistita dall’avvocato Stefania Serafini.

La ragazza, poco più che ventenne, aveva iniziato a lavorare in quel bar da soli tre giorni e quella mattina stava facendo ordine dietro il bancone: «Dovevo riempire il frigorifero delle bibite» ha raccontato lei stessa quando si è ripresa dallo shock e si è sfogato con gli agenti della Squadra mobile specializzati in reati sessuali. E’ in quel momento che il datore di lavoro l’ha attirata in cantina con una scusa, forse proprio dicendole di scendere per prendere altre lattine con cui rifornire il frigo. In realtà l’uomo, forse in preda a droga e alcol dopo una serata in discoteca, l’ha assalita sotto gli occhi di un’altra dipendente con cui aveva intrecciato una relazione (che non avrebbe avuto un ruolo nella violenza sessuale consumata poco dopo e per questo non è stata indagata).

Secondo quanto ha riferito la ragazza agli investigatori della Mobile, il barista l’ha tenuta segregata nella cantina per oltre cinque ore. L’avrebbe anche costretta ad assumere droga: secondo quanto riportato negli atti dell’inchiesta, «attingeva con il dito nella cocaina e la costringeva ad assumerla mettendogliela sotto al naso». Poi l’avrebbe afferrata per i capelli per riuscire ad abusare di lei e costringerlo al rapporto sessuale orale. Sarebbe stato talmente violento da strapparle una ciocca, poi trovata dagli agenti una volta fatta irruzione nel locale poco dopo la violenza sessuale. Perché la ventenne, una volta liberata nel primo pomeriggio, è scappata di corsa dal bar del quartiere Aurora e ha chiesto aiuto alla madre. Insieme hanno chiamato il 112 e hanno sporto denuncia: gli agenti della questura hanno fatto irruzione poco dopo nel bar, lo hanno perlustrato palmo a palmo e hanno trovato i capelli della ragazza. Poi, nel giro di qualche giorno, hanno messo le manette ai polsi del titolare del locale. Il 39enne di origine albanese è in carcere da allora e martedì, a poco più di sei mesi dai fatti, potrà già essere rinviato a giudizio. Merito della rapidità delle indagini della Squadra mobile e del pm Pretti, oltre che della corsia preferenziale che il cosiddetto “Codice Rosso” permette alle inchieste per violenza sessuale. Soprattutto se ricostruiscono incubi come quello raccontato dalle ventenne torinese ai poliziotti.

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