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Il processo

Una disabile come schiava: condanne «da omicidio» per mamma e figlia

La vittima era peggio di Cenerentola: vestita di stracci, non mangiava nulla e dormiva sul balcone. «Finalmente hanno fatto giustizia»

Una disabile come schiava: condanne «da omicidio» per mamma e figlia

Foto di repertorio

«Per favore, portatemi via da questa casa» aveva sussurrato ai carabinieri quella donna disabile, che oggi ha quasi 57 anni ed è ricoverata in una struttura. Era il 21 settembre 2021 e da quel momento è iniziata un’indagine che, un anno fa esatto, ha portato all’arresto di M. F. G. e di sua madre B. G.. Poche ore fa le due donne sono state condannate per lesioni personali e riduzione in schiavitù dalla Corte d'Assise di Torino, che ha inflitto una pena di 18 anni alla figlia e di 10 anni alla madre. Assolto "per non aver commesso il fatto" M. G., marito della 44enne M. F. G. (che risponde anche di appropriazione indebita). 

Per le due condannate, per cui era stata disposto il divieto di avvicinamento alla persona offesa, è stata dichiarata anche l'interdizione dai pubblici uffici e da qualunque possibile amministrazione di sostegno o appalti con la pubblica amministrazione, oltre a ulteriori 3 anni di libertà vigilata. Dovranno pagare le spese processuali e risarcire la vittima per 60mila euro (provvisionale immediatamente esecutiva). «E' stata fatta giustizia» commentano gli avvocati Rita Buzzichelli e Fabrizio Laguzzi, rispettivamente tutore e difensore della parte offesa. «No, è una sentenza assurda e sproporzionata, quasi da omicidio» replica l'avvocato Angelo Ginesi, che assiste la principale imputata e anticipa il ricorso dopo aver letto le motivazioni della sentenza di primo grado, attesa entro 60 giorni.

La presunta vittima non è Cenerentola ma una signora con un lieve deficit intellettivo e un disturbo della personalità che conduce alla sottomissione. Ed è proprio quello che le è successo per cinque anni, dal 2016 al 2021, in quell'appartamento di Nichelino: appena prima di morire, il padre l’aveva affidata alla 44enne. Doveva prendersene cura insieme alla madre 78enne, invece le due l'avevano trasformata nella sua schiava personale (con l’aiuto di madre, secondo quanto emerso dal processo).

I carabinieri, coordinati dal pubblico ministero Antonella Barbera, hanno ricostruito come l'imputata prendesse i soldi per il mantenimento della donna ma non le desse niente. Anzi, la disabile indossava solo vestiti vecchi e logori e veniva costretta a stirare e pulire la casa. Se non lo faceva bene, veniva picchiata con un bastone di ferro o bruciata con il ferro da stiro. Poi veniva legata al letto o costretta a dormire nel corridoio o sul balcone, anche al gelo dell’inverno: «Se dormi con la coperta, ti ammazzo», le urlava la 44enne. Che ripeteva le minacce se “sorprendeva” la schiava a pregare o se solo provava a chiamare i parenti o il suo tutore legale. A tutto questo si aggiungevano botte, insulti, giorni senza cibo: «Quando siamo intervenuti e abbiamo portata la signora in ospedale, le uscivano pezzi di carote dalle tasche - ha raccontato in aula uno dei carabinieri di Nichelino - Ci ha chiesto se potesse mangiarli perché erano giorni che non le davano niente».

Secondo i carabinieri, tutto questo era evidente anche ai vicini di casa: «Tutti sapevano ma nessuno parlava per paura» aveva riportato un altro dei militari sentiti come testimoni. Nel dibattimento è anche emerso come la principale imputata abbia fatto delle intimidazioni agli abitanti del palazzo che erano già stati ascoltati durante l’indagine. Lo dimostrerebbe anche la testimonianza resa da una delle vicine durante una delle prime udienze, molto diversa dalla prima versione: per questo la presidente della Corte d’Assise, Alessandra Salvadori, ha disposto di far valere i verbali delle dichiarazioni rese durante l’inchiesta.

Gli avvocati Fabrizio Laguzzi e Rita Buzzichelli

La pm Barbera aveva chiesto pene tra i 9 e gli 11 anni e mezzo: «Alla fine la condanna è stata alta e addirittura superiore alle richieste - riflettono ancora gli avvocati di parte civile - Crediamo che sia un segnale importante per la nostra assistita, che avrebbe voluto essere presente. Ma poi la psicologa ha consigliato di evitare perché partecipare all'udienza sarebbe stato faticosi: abbiamo già visto quanto era provata dopo che è stata sentita durante l'incidente probatorio».

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