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Il processo
10 Settembre 2024 - 16:37
A 58 anni era in cassa integrazione dopo una lunga carriera in Fiat, poi diventata Stellantis. Quindi passava il suo “tempo libero” lavorando in un’officina di via Lessona, senza contratto e in nero. E «senza specifica formazione e adeguato addestramento». Ma, soprattutto, senza che il ponte sollevatore fosse in sicurezza: è per tutti questi motivi, secondo la Procura, che Angelo Devito è morto mentre riparava una Renault Kangoo sollevata a quasi 2 metri di altezza. Schiacciato dal motore dell’auto, che si è staccato, lo ha schiacciato e lo ha ucciso il 12 luglio 2023. Per questa morte, l’ennesima in un posto di lavoro, è accusato il titolare dell’officina, il 67enne Pasquale Angelo Palmiero.
L’accusa è omicidio colposo e il 22 gennaio dovrà affrontare la prima udienza del processo, assistito dall’avvocato Andrea De Pasquale.
Quella mattina di un anno fa, i primi a soccorrere De Vito sono stati proprio Palmiero e le altre persone presenti nell’officina (che porta il nome del titolare). Poi, in via Lessona 39, sono corsi anche i sanitari del 118. Che non hanno potuto fare nulla per salvare il 58enne: troppo gravi le fratture al torace e le lacerazioni al cuore, ai polmoni, al fegato e i bronchi.
Nel frattempo sono arrivati anche i carabinieri della stazione Borgo Campidoglio e i tecnici dello Spresal, il servizio antinfortunistico dell’Asl. E le successive indagini, coordinate dal sostituto procuratore Gianfranco Colace, hanno fatto emergere un’altra verità: Devito lavorava senza un contratto in via Lessona, anche perché non poteva (essendo già dipendente di Stellantis in cassa integrazione). Lì ha trovato la morte, travolto da un motore caduto da 2 metri d’altezza «perché non aveva serrato con un bullone il perno filettato all’interno del supporto elastico laterale cambio», come si legge negli atti.
«Tra il mio assistito e Devito c’era un rapporto di amicizia - puntualizza l’avvocato De Pasquale - La vittima poteva utilizzare i macchinari ma era tutto tranne che un dipendente dell'officina. Il fatto c’è stato ma intendiamo difenderci al processo, senza passare da riti alternativi. Ci sono ancora tante zone d’ombra che saranno chiarite durante il giudizio: riteniamo che il reato contestato di omicidio colposo non sia coerente con lo stato di fatto».
Il giudice per l’indagine preliminare, Paola Odilia Meroni, ha riconosciuto come parti civili la vedova, la figlia e i tre fratelli del 58enne deceduto, assistiti dall’avvocato Riccardo Salomone.
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