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La storia
09 Dicembre 2024 - 07:50
Diamanti certificati da un "gemmologo" e poi risultati falsi, orologi Rolex scomparsi nel nulla, padre e figlio che si danno la colpa l'un l'altro: sembra quasi la presentazione di un giallo, invece sono gli atti di un'inchiesta che vede accusati tre gioiellieri torinesi. E non è neanche l'unica, almeno per due di loro. Col risultato che la trama si infittisce e si complica, con più storie che si intrecciano fra loro.
Per capire meglio, bisogna partire dai protagonisti: da una parte, Catello ed Edoardo Iovino, padre e figlio che gestiscono "L'artigiano" di corso Svizzera 29/A (ora chiuso); dall'altra, Giuseppe Lentini, titolare di un negozio in via Barbaroux 33/A. Ma i tre sono tutti insieme in una presunta truffa ai danni dello stesso cliente: secondo l'accusa, Lentini si è presentato come l'inesistente perito gemmologo Di Benedetto e ha convinto il cliente a comprare 11 gemme. «Fidati, sono diamanti purissimi». Così quel "poveretto" ha investito 66mila euro, versati un po' in contanti e un po' con un bonifico al conto intestato a Edoardo Iovino. Peccato che quei diamanti fossero in realtà zirconi, cristalli senza alcun valore commerciale.
Come se non bastasse, lo stesso cliente ha portato altri 4 diamanti ai tre "esperti", in modo che li potessero analizzare e confezionare in blister: stavolta le pietre erano verissime e valevano 50mila euro complessivi. Ma il proprietario non le ha mai più riviste, visto che ha ricevuto indietro altri zirconi. Per un totale di 15 pietre inutili al posto di un tesoro da 116mila euro.
La vittima si è poi accorta della truffa, ha denunciato ed è partita un'inchiesta, affidata al pubblico ministero Barbara Buonanno. Che qualche giorno fa ha notificato la chiusura indagini ai tre orafi e ai loro legali: Catello Iovino e Giuseppe Lentini sono assistiti d'ufficio dall'avvocato Alessandro Marampon mentre Iovino junior si è affidato a un difensore di fiducia, l'avvocato Ruggero Marta. E agli inquirenti ha già spiegato la sua versione dei fatti: sì, il negozio di corso Svizzera è intestato a lui ma in realtà era suo padre a gestirlo, visto che lui si occupava solo di realizzare piccoli monili ed effettuare riparazioni.
Il problema, per i due Iovino, è che quell'inchiesta è solo una delle tante che li vede accusati. Nelle altre il reato contestato non è truffa ma appropriazione indebita: per un'indagine il pm Francesco La Rosa ha chiesto l'archiviazione per "tenuità del fatto" perché era sparito un orologio di scarso valore; per un'altra ha già chiuso le indagini e aspetta di interrogare Edoardo Iovino, accusato (solo lui) di aver fatto sparire un orologio Tah Heuer Monaco Steve Mc Queen 75th Anniversary, una edizione limitata del valore di 5mila euro. Ma c'è dell'altro: in una seconda inchiesta della pm Buonanno, anche questa già chiusa, padre e figlio rispondono di una serie di altre "sparizioni" redditizie. Dieci clienti li accusano di aver fatto sparire orologi di ogni tipo, da un Seiko da 200 euro a un Rolex GMT da 12mila. E ancora Baume & Mercier, Omega, Suprem, altri Rolex, sveglie e orologi da tavolo, addirittura una vecchia "cipolla". Tutto ritirato per ripararlo e poi mai restituito. E, quando i clienti chiamavano per chiedere spiegazioni, Catello Iovino rispondeva sempre con delle scuse: «Ho dei problemi al cuore, ho appena fatto una brutta operazione». E intanto si è presentato dai carabinieri della Stazione Pozzo Strada per denunciare di essere stato derubato dei Rolex: un furto mai avvenuto seconda la pm, che accusa Iovino senior anche di simulazione di reato.
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