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Sanità & giustizia
01 Febbraio 2025 - 07:50
Medici pagati (forse) in nero, un “gioiellino” che in realtà nascondeva tutt’altro e lotte intestine verso chi ha osato chiedere il pagamento di quanto previsto per legge: è il quadro che emerge dalle inchieste sui bilanci della Città della Salute. O, almeno, è quello che racconta agli inquirenti Beatrice Borghese, ex direttrice amministrativa di Città della Salute (che si è dimessa per tornare a Roma in Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali).
La dirigente è una dei indagati 25 nella prima inchiesta sui bilanci della più grande azienda sanitaria del Piemonte, che ha fatto emergere un buco da 122 milioni di crediti non più esigibili e che vede imputati, tra gli altri, l’ultimo direttore generale Giovanni La Valle. Da lì, come richiesto e ottenuto ieri dai pubblici ministeri Mario Bendoni e Giulia Rizzo, sono nati altri due fascicoli sui presunti usi “allegri” delle carte di credito aziendali e sulle attività dei medici in libera professione, la cosiddetta intramoenia.
A suggerire ulteriori indagini sono stati soprattutto gli interrogatori di Borghese, diventata il personaggio chiave della vicenda: «Per le prestazioni in libera professione c’è anche la possibilità di pagare dopo - ha spiegato ai pm la dirigente - Un meccanismo che consentiva probabilmente al medico la possibilità di ottenere dal paziente il pagamento “in nero”». Altro che il sistema collaudato che si aspettava Borghese: «Per me è surreale che nessuno si sia accorto di tale situazione. Peraltro tutti, arrivando a Torino, mi descrivevano l’Ufficio libera professione come un “gioiellino”. Io, semplicemente facendo domande, ho capito che non era così». E soprattutto che i medici non versavano la quota del 5% dei ricavi ottenuti con l’attività intramoenia, come previsto dal decreto Balduzzi per chi esercita privatamente negli ospedali pubblici. Poi, quando Borghese e La Valle hanno imposto le regole, «c’è stata una reazione di grande disappunto. E le note di sollecito al pagamento, pena la sospensione, sono state inviate in modo disomogeneo. Alcune le abbiamo trovate in un cassetto». Uno dei primari, Mario Morino, si sarebbe sfogato in una riunione alla presenza di tutti i direttori di dipartimento: «Ha detto che era scandaloso che ci fossimo permessi di mandare quelle note».
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