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Il caso
22 Febbraio 2025 - 21:30
Baby Gang e Simba La Rue (Fonte Instagram)
Simba La Rue e Baby Gang tornano sotto i riflettori, ma ancora una volta per motivi che con la musica hanno ben poco a che fare. La loro ossessione per la “street credibility” continua a giocare brutti scherzi, trasformandoli da rapper di successo a protagonisti dell’ennesimo episodio giudiziario. Venerdì pomeriggio, 21 febbraio, sono stati fermati a Milano a bordo di una Mercedes G-Class con vetri oscurati. Una macchina appariscente, nel bel mezzo di viale Corsica, che non è certo passata inosservata alla polizia locale. E infatti, quando i «ghisa» si sono avvicinati e hanno bussato al finestrino, hanno trovato Simba La Rue al volante senza patente e Baby Gang accanto a lui.
Il controllo si è fatto più approfondito, e alla fine gli agenti hanno portato Simba La Rue in via Pietro Custodi, all’ufficio centrale arresti e fermi della polizia locale. Risultato? Denuncia per guida senza patente. Ma non è finita qui. Nel bagagliaio del SUV a noleggio sono spuntate 70 bustine di cannabis terapeutica, hashish ed estratti di olio di cannabis. Non esattamente la spesa della domenica.
E come se tutto questo non fosse già abbastanza, c’è un dettaglio che rende la vicenda ancora più pesante: Simba La Rue non poteva neanche essere a Milano. Il rapper era sottoposto alla sorveglianza speciale e aveva il divieto di tornare nel capoluogo lombardo per tre anni. La violazione gli è costata una nuova denuncia e, a breve, anche il divieto di ingresso nei locali pubblici. Stessa sorte potrebbe toccare a Baby Gang, su cui sono in corso ulteriori accertamenti. Solo pochi mesi fa li abbiamo visti in TV, a raccontarsi come vittime di un sistema che li perseguita. Ma la realtà è meno romanzata: se continui a infilarti nei guai, prima o poi ci resti impantanato.
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La storia del rap è piena di talenti sprecati, di carriere interrotte dalla violenza o dall'autodistruzione. Tupac Shakur è forse l’esempio più emblematico: nato come un poeta di strada, cresciuto con il sogno di raccontare le difficoltà della sua gente, si è fatto trascinare in una spirale di rivalità e vendette che lo ha portato alla morte a soli 25 anni. L’ossessione per la strada, per il rispetto a ogni costo, lo ha messo sulla traiettoria fatale che ha portato all’omicidio suo e di Notorious B.I.G., in una guerra tra East e West Coast che ha segnato per sempre la storia dell’hip hop.
Nipsey Hussle, invece, aveva scelto un percorso diverso. Dopo anni di affiliazione alle gang di Los Angeles, aveva capito che la sua musica doveva essere un mezzo per costruire qualcosa di più grande, per aiutare la comunità, per trasformare la credibilità di strada in un'opportunità concreta per chi veniva dal nulla. Ma proprio quel legame con il passato gli è costato la vita: è stato ucciso nel quartiere in cui era cresciuto, davanti al suo negozio, da qualcuno che conosceva, una storia vista già mille volte nel ghetto.
Nipsey raffigurato su un murales a Los Angeles (Fonte Instagram)
Eric Holder, il suo assassino, era un membro della sua stessa gang, i Rollin’ 60’s. Secondo le trascrizioni dell’udienza preliminare, tra i due c’era stata una discussione pochi istanti prima del delitto. Nipsey lo aveva accusato di essere una spia. Ventiquattro volte quella parola risuona nei documenti del processo. E nel codice della strada, essere accusato di collaborare con la polizia è una condanna a morte. Puoi togliere il ragazzo dal ghetto, ma il ghetto dal ragazzo? Difficile. Nipsey lo sapeva e ci ha provato. Ha investito nella sua comunità, ha aperto negozi, ha dato lavoro ai ragazzi. Ha provato a essere il cambiamento. Ma la strada non dimentica. E spesso, nemmeno perdona.
Pop Smoke, invece, è morto a 20 anni, nel momento in cui la sua carriera stava per esplodere a livello globale. Il rapper di Brooklyn, con il suo stile inconfondibile e il suo timbro vocale profondo, aveva portato la drill UK in America, rivoluzionando il suono della scena rap statunitense. Il suo album postumo Shoot for the Stars, Aim for the Moon ha dominato le classifiche, ma Pop non ha mai potuto godersi quel successo: è stato ucciso il 19 febbraio 2020, in una casa di Hollywood Hills, durante quella che ufficialmente è stata definita una rapina finita male.
Il giorno prima della sua morte, Pop Smoke aveva inavvertitamente rivelato il suo indirizzo sui social, pubblicando una Instagram Story con alcuni regali che aveva ricevuto, tra cui una borsa con l’etichetta della spedizione in bella vista. Quella leggerezza si è rivelata fatale: poche ore dopo, cinque uomini armati hanno fatto irruzione nella villa, sorprendendo il rapper sotto la doccia. Secondo le ricostruzioni, i ladri volevano solo orologi di lusso e gioielli, ma la situazione è degenerata: Pop ha reagito e gli hanno sparato a sangue freddo, lasciandolo morire sul pavimento.
Pop Smoke (Fonte Instagram)
Quattro ragazzi – di cui due minorenni – sono stati arrestati per l’omicidio. Ma c’è un dettaglio che rende la storia ancora più oscura: Pop Smoke era legato ai Crips, nota gang di Los Angeles. Nonostante il successo crescente, il rapper non aveva mai completamente tagliato i ponti con il suo passato di strada, e più di una persona ha ipotizzato che la sua morte non fosse solo una rapina, ma l’ennesimo regolamento di conti tra gang rivali.
Bashar (vero nome dell'artista) aveva avuto problemi con la legge fin da giovane: a 16 anni aveva già una BMW Serie 5 acquistata con soldi discutibili e aveva trascorso due anni agli arresti domiciliari per possesso illegale di arma da fuoco. La sua affiliazione ai Crips era nota, tanto che in più occasioni aveva dovuto schivare domande su faide e dissing con altre crew. Quei versi di Pop, tratti dal brano "Scenario", fanno venire i brividi se pensiamo a come è finita la sua storia:
"Ho detto che non mi faccio mai trovare senza, sempre con la pistola carica (avverte i suoi nemici)
Con queste automatiche, li spediamo in paradiso (si riferisce all’uso di armi automatiche usate per uccidere)
Arriviamo, che succede, n*****, con chi sei schierato? (con quale gang)
Troveranno il suo corpo sul canale 11" (l'omicidio del rivale verrà raccontato al notiziario della TV)
Ma non è necessario morire per perdere tutto. Young Thug, uno degli artisti più influenti della nuova generazione, ha visto il suo impero sgretolarsi sotto il peso di un’accusa che mischia realtà e finzione. Arrestato nel 2022 nell’ambito dell’operazione YSL RICO, il rapper di Atlanta è stato accusato di aver gestito la sua etichetta "Young Stoner Life Records" come un’associazione criminale, coinvolta in traffico di droga, armi e omicidi.
Dopo oltre 900 giorni di detenzione, il 31 ottobre 2024 Thug ha accettato un patteggiamento che gli ha permesso di ottenere la libertà vigilata, riducendo drasticamente la pena. Invece dei 40 anni inizialmente previsti, sconterà 15 anni in libertà vigilata con severe restrizioni: non potrà tornare ad Atlanta per un decennio, salvo brevi visite per motivi familiari, e non potrà avere contatti con membri di gang o affiliati della YSL. Ma Thug, ora, può tornare a fare musica: ha il permesso di viaggiare per lavoro e collaborare con altri artisti: "Ho imparato dai miei errori. Vengo dal nulla, ho fatto qualcosa e non l'ho sfruttato appieno. Mi dispiace", ha detto il trapper in tribunale.
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Simba La Rue e Baby Gang dovrebbero prendere queste storie come un monito. Anche se il talento può portarti al successo, le scelte sbagliate possono trascinarti in un vortice senza via d’uscita. Simba e Baby hanno ancora la possibilità di riscrivere la loro storia, di dimostrare che il talento può prevalere sugli errori, che il rap può essere un mezzo di crescita e non una condanna. Chiaramente, non c’è paragone tra questi rapper americani e Simba La Rue o Baby Gang. Sarebbe ridicolo anche solo pensarlo. I due italiani, almeno per ora, navigano in acque giudiziarie meno agitate rispetto a gente come Thug, invischiato in reati di un altro livello. I primi hanno scritto la storia della musica U.S.A (e non solo), mentre i secondi sono due giovani con talento che devono ancora dimostrare di poter lasciare un segno. Ma una cosa li accomuna: il rischio di confondere la realtà con la narrazione, di credere che per essere presi sul serio come artisti sia necessario vivere davvero ciò che si racconta nei testi. Troppo spesso la "credibilità di strada" si trasforma in una trappola, un’illusione pericolosa che porta a credere che senza il crimine la musica perda valore. Ma il rap non è un’arma né un lasciapassare per la delinquenza. È una forma d'arte, un’opportunità per cambiare la propria vita e quella degli altri. "La notorietà, in certi casi, è una buona scusa per tagliare con il passato. Quando diventi famoso, non ha più senso fare certe cazzate"
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