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Salute mentale
16 Aprile 2025 - 19:40
Immagine di repertorio
Durante la prima fase della pandemia di Covid-19, il lavoro da casa ha rappresentato una soluzione efficace per continuare l’attività lavorativa in sicurezza. Tuttavia, non per tutti ha significato benessere. Secondo una nuova ricerca condotta da economisti delle Università di Venezia e Padova, in collaborazione con l’IFO Institute di Monaco, lo smart working ha avuto un impatto psicologico significativo, soprattutto tra donne, single e genitori con figli conviventi.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Journal of the Economics of Ageing, si concentra sul benessere mentale dei lavoratori over 50 durante i primi mesi della pandemia, confrontando chi ha lavorato da casa con chi ha continuato in presenza. I dati mostrano che i sintomi depressivi erano più diffusi tra i lavoratori da remoto, in particolare nelle regioni con restrizioni severe ma bassa incidenza di contagi. Fattori come isolamento, incertezze lavorative e tensioni familiari possono aver alimentato questo disagio.
L’indagine si basa sui dati della Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), che raccoglie informazioni su individui over 50 in 27 Paesi europei. Utilizzando metodi statistici avanzati, i ricercatori hanno isolato l’impatto del lavoro da casa da altri effetti legati alla pandemia. I risultati indicano che le reazioni allo smart working non sono state uniformi e che alcuni gruppi sociali hanno vissuto questa modalità in modo più critico.
Con la diffusione del lavoro ibrido anche nel periodo post-pandemico, la ricerca invita a riflettere sulle politiche aziendali. Regole rigide e identiche per tutti, osservano gli studiosi, rischiano di ignorare le reali esigenze delle persone. Al contrario, emerge la necessità di soluzioni flessibili e personalizzate, che tengano conto delle diverse condizioni familiari e demografiche dei lavoratori.
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