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Politica estera
30 Aprile 2025 - 15:35
Repertorio
Un blackout di poche ore, ma sufficiente a innescare una tempesta politica. È quanto accaduto in Spagna, dove un’interruzione dell’energia elettrica ha riportato al centro del dibattito le scelte energetiche nazionali, con particolare riferimento alle fonti rinnovabili. In prima linea contro queste ultime, i partiti conservatori, che hanno colto l’occasione per attribuire il disservizio all’instabilità del sistema basato su solare ed eolico. Un’accusa arrivata a caldo, prima ancora che fossero chiarite le cause tecniche dell’incidente.
Il riflesso mediatico non si è fermato alla penisola iberica: anche in Italia, parte della stampa ha rilanciato lo stesso messaggio, alimentando l’idea che le rinnovabili rappresentino un rischio per la sicurezza della rete. Ma l’analisi approfondita delle dinamiche del blackout ancora non c’è. Eppure, il dibattito si è acceso subito, trasformando un fatto tecnico in un terreno di scontro ideologico.
Il momento dell’attacco appare particolarmente contraddittorio. Mentre l’interruzione elettrica ha messo in luce quanto la nostra società dipenda totalmente dall’energia, l’ultimo report della NOAA americana ha certificato un nuovo record per la concentrazione di CO₂ nell’atmosfera: 426,03 parti per milione, un campanello d’allarme climatico che suona sempre più forte.
Eppure, proprio mentre il cambiamento climatico mostra i suoi effetti più estremi – ondate di calore, alluvioni, trombe d’aria – si torna a mettere in discussione le fonti che potrebbero stabilizzare il clima e ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. Una dinamica che ricorda, per alcuni osservatori, un paradosso: come se si accusasse la scialuppa per un problema al motore della nave che affonda.
Se è vero che nessuna fonte energetica è esente da criticità, gli esperti sottolineano come l’utilizzo delle energie rinnovabili, specialmente se affiancato da sistemi di accumulo efficienti, possa aumentare la resilienza delle reti. Inoltre, affidarsi ai combustibili fossili espone i paesi a vulnerabilità geopolitiche, legate a regimi instabili o mercati imprevedibili. L’autoproduzione locale di energia solare o eolica, invece, riduce la dipendenza esterna e restituisce potere ai territori.
Il timore, però, è che l’emotività post-blackout venga strumentalizzata. Non solo per attaccare le fonti pulite, ma anche per spostare il baricentro delle scelte energetiche verso modelli centralizzati e meno trasparenti. Il rischio è quello di trascurare il vero nodo: la necessità di pianificare una transizione energetica guidata dalla scienza, supportata da politiche pubbliche e condivisa con i cittadini.
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