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La ricorrenza
01 Maggio 2025 - 18:35
Pansa ha avuto il coraggio di ricordare gli eccidi avvenuti dopo il 25 aprile
La storia italiana è da sempre attraversata da profonde ombre, angoli oscuri volutamente dimenticati per comodità politica o per la difficoltà stessa di guardare negli occhi la propria verità. Tra questi silenzi, tra le pieghe più cupe della memoria nazionale, tra le migliaia di fascisti o presunti tali uccisi a Torino e provincia dopo il 25 aprile 1945, si trova la strage dei 29 ragazzi della Repubblica Sociale Italiana, ammazzati a Grugliasco il 1° maggio del 1945 dai partigiani. La vicenda, per decenni celata, emerge timidamente dalla nebbia dell'oblio soltanto con la coraggiosa opera di Giampaolo Pansa, "Il sangue dei vinti", del 2003. Un testo che ha il merito, e forse la colpa, di aver scosso il comodo torpore di una narrazione resistenziale semplificata e manichea, che divide nettamente eroi e malvagi. Eppure, la realtà storica è assai più complessa: quei 29 giovani, in gran parte ventenni di leva, provenienti da Mantova e con incarichi amministrativi e logistici, non erano soldati in prima linea, non avevano responsabilità nelle violenze perpetrate dai nazisti il giorno precedente. Furono catturati, mostrati alla popolazione e uccisi come risposta a una barbarie, quella nazista, che aveva provocato la morte di 68 civili e partigiani. E’ necessario, oggi, interrogarsi sul silenzio che ha avvolto per anni episodi come quello di Grugliasco. La vendetta, la giustizia sommaria, il regolamento di conti che seguirono il 25 aprile del ‘45, furono fenomeni diffusi in tutto il centro-nord d’Italia , eppure raramente affrontati con il coraggio della verità. Questo silenzio, questa forma d'omertà istituzionalizzata, ha avuto pesanti conseguenze sulla costruzione della nostra memoria storica nazionale.
Bruno Maida, docente di Storia contemporanea all’Università di Torino, ha ricordato come le comunità di Grugliasco e Collegno siano rimaste imprigionate in questo ricordo duale e tragico. L’eccidio nazista e la successiva rappresaglia partigiana hanno creato un'invalicabile barriera emotiva e culturale: i parenti di quei giovani della RSI non hanno potuto piangerli, commemorare il loro lutto, elaborare il dolore in una società che ha preferito dimenticare. La tragedia personale si è così intrecciata indissolubilmente con quella collettiva, rendendo impossibile un autentico percorso di riconciliazione nazionale. La retorica resistenziale che ha pervaso la narrazione ufficiale ha impedito di riconoscere pienamente la verità storica: i partigiani, non furono sempre eroici né moralmente irreprensibili come vorrebbe la narrazione ufficiale. Esaltarne acriticamente il ruolo, che dal punto di vista militare fu certamente marginale rispetto all’intervento alleato, significa ostacolare quella pacificazione nazionale che ancora manca all'Italia. Si continua a celebrare una vittoria di fazione, senza comprendere che ciò che dovrebbe essere celebrato è l’unità nazionale raggiunta dopo la guerra, esattamente come l’unità d’Italia ha prevalso sulla memoria della vittoria piemontese contro i Borbone.
La storia, per essere autenticamente educativa e pacificatrice, deve raccontare la complessità, il bene e il male che attraversano ogni evento umano. Tacere o minimizzare episodi dolorosi, imbarazzanti, ingiustificabili, come la strage di Grugliasco, equivale a impedire la costruzione di una memoria condivisa, fondata sulla verità e sull’onestà intellettuale. È dunque necessario e urgente riaprire gli archivi, riconsiderare le narrazioni, dare voce a tutte le vittime, senza censure né retoriche di comodo. Solo affrontando a viso aperto il passato, riconoscendo le colpe e i crimini commessi da ogni parte coinvolta, potremo costruire una memoria che sia davvero patrimonio comune. Una memoria che non sia ostaggio di divisioni ideologiche, ma strumento di riconciliazione e pacificazione, di crescita civile e morale per l’intera nazione. Se non sapremo affrontare con coraggio e serenità episodi come quello di Grugliasco, rischiamo di perpetuare divisioni antiche, ferite mai sanate che continueranno a ostacolare il cammino verso un’identità nazionale solida e matura. La memoria selettiva è la più pericolosa delle amnesie, perché lascia spazio a strumentalizzazioni e revisionismi. Al contrario, una memoria completa e coraggiosa permette di comprendere pienamente la complessità della storia, facendo emergere gli insegnamenti necessari per evitare che tali tragedie possano ripetersi. E così, finalmente, forse riusciremo a costruire una pacificazione autentica, fondata non su miti o illusioni, ma sulla consapevolezza matura e sofferta del nostro passato.
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