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Cronaca

Torino supporta Kakuma, il non-luogo che resiste alla disperazione

Un campo profughi diventa simbolo di resilienza e speranza per oltre 350.000 rifugiati.

Torino supporta Kakuma, il non-luogo che resiste alla disperazione

A nord-ovest del Kenya sorge Kakuma, nella lingua locale "nessun posto". Eppure questo "non-luogo" è diventato il rifugio di oltre 350.000 anime in fuga da guerre e persecuzioni un crocevia di storie e speranze che sfidano l'idea stessa di invisibilità.

Nato nel 1992 grazie all'intervento delle Nazioni Unite, il campo profughi di Kakuma è stato inizialmente un rifugio per oltre 40.000 ragazzi scappati dal Sudan in guerra. Da allora ha continuato ad accogliere persone provenienti da Somalia, Congo, Burundi, Ruanda, Etiopia, Eritrea, Uganda e altri paesi dilaniati dai conflitti. La missionaria Elisabetta Grobberio, originaria di Torino ha trascorso oltre vent'anni in questo luogo, testimoniando le vite di chi è stato costretto a lasciare tutto. Il suo racconto, che verrà presentato il 16 maggio presso l’Opera della Misericordia a Torino offre uno sguardo intimo su una realtà spesso ignorata dai riflettori internazionali.

I profughi sono persone che, fino a un certo punto, conducevano vite normali: contadini, pescatori, studenti, insegnanti, artigiani, medici. Poi, l'imprevisto e il violento cambiamento li hanno costretti a fuggire, lasciando alle spalle non solo le loro case, ma anche i loro sogni e le loro certezze. La povertà più grande che affrontano non è la mancanza di cibo o denaro, ma la privazione della libertà. In un luogo dove il movimento è limitato e il futuro incerto, la speranza diventa un atto di resistenza.  La comunità ha sviluppato una straordinaria capacità di resilienza. I suoi abitanti hanno imparato ad affrontare le avversità senza lasciarsi sopraffare trovando sempre la forza di ricominciare.

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