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I retroscena delle votazioni

I segreti del Conclave, la strategia di Parolin e l’elezione di Prevost

Ecco come il cardinale ha “aiutato” lo Spirito Santo per far votare lo stesso candidato ai conservatori e anche ai progressisti. «Si è esposto, ma non voleva fare il Papa»

I segreti del Conclave, la strategia di Parolin e l’elezione di Prevost

Quattro votazioni per un Papa. Un vero record di rapidità, nonostante alla vigilia del Conclave in Sacro Collegio apparisse diviso. Ma cos’è successo? «E’ stato lo Spirito Santo», ripetevano ieri i porporati all’uscita da Casa Santa Marta. E non c’è dubbio che sia stato così. Ma, come recita un detto di buonsenso: «Aiutati che il ciel t’aiuta» e qualcuno nella Cappella Sistina una mano allo Spirito Santo l’ha data. Ma come e in che modo? Per ora è inutile chiedere ai cardinali che, pena la scomunica, sul Conclave non hanno proferito verbo. Ma ci sono monsignori, non necessariamente di lungo corso, che hanno seguito i porporati durante le Congregazioni generali e non sono legati da alcun giuramento. Comunque sia, meglio l’anonimato che rischiare un declassamento in Curia. «Il Conclave - dice uno di loro - ha avuto un grande regista -: un fine e raffinato diplomatico nella persona di Pietro Parolin. Non dimentichiamolo, erede del grande Agostino Casaroli». Eppure Parolin appare come il perdente, colui che in Conclave è entrato Papa e ne è uscito cardinale. «Non è assolutamente così. Sapeva di poter contare su una quarantina di preferenza grazie al suo prestigio. Ma sapeva anche che i conservatori non lo avrebbero mai scelto per due motivi: troppo legato al Pontificato di Francesco e poi perché un Segretario di Stato compie un servizio che spesso lo costringe a essere rigido anche verso i confratelli.

Infine, detto tra noi, il Papa proprio non lo voleva fare». Dunque Parolin si è esposto molto, ma al solo scopo di arrivare in Cappella Sistina e far sì che i cardinali conservatori e gruppi di bergogliani sparsi che non lo vedevano di buongrado, convergessero su un nome su cui «nessuno avrebbe potuto obiettare». Perché Robert Prevost (inconsapevole di tutto), ha un curriculum eccellete: «E’ un teologo di prim’ordine, ha svolto il suo servizio negli agostiniani, è un missionario, è stato vescovo di una diocesi, ha fondato delle parrocchie e, negli ultimi anni a Roma, ha acquisito esperienza di governo. E’ su posizioni sociali avanzate (per questo piace ai progressisti), ma è rigoroso nella dottrina (per tal motivo è anche ben visto dai conservatori». Resta un mistero, ma anche su questo ci dovrebbe essere lo zampino di Parolin e riguarda chi abbia lanciato la candidatura Prevost. Verosimilmente una decina di cardinali che in un primo momento si erano espressi per il Segretario di Stato. Infatti, giorni prima dell’inizio del Conclave Pietro Parolin poteva contare su 50 voti. Poi, improvvisamente, sono scesi a 40. Nella prima votazione Prevost ha ottenuto quei 10/15 voti che lo hanno posto apparentemente come antagonista del Segretario di Stato. Preferenze che sono cresciute nella seconda e terza votazione, fino a quando Parolin ha compreso che con i suoi 40, Prevost sarebbe diventato Papa. E così è stato. Si comprende così doppio augurio espresso a Parolin da cardinale Re: uno riguardava la gestione del Conclave che spettava al Segretario di Stato, l’altro perché l’aiutino allo Spirito Santo andasse a buon fine.

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