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Lo scenario
21 Maggio 2025 - 17:40
Nove anni dopo la Brexit, un nuovo accordo tra Unione Europea e Regno Unito promette di ricucire parzialmente lo strappo con l’Europa. Il patto è stato salutato come un segnale di distensione, soprattutto su dossier delicati come commercio, difesa, pesca ed energia. Ma è su un tema che tocca la vita concreta delle persone, e in particolare dei giovani, che si gioca una partita carica di aspettative e incertezze: la mobilità.
Ai tempi dell’Unione, trasferirsi a Londra per studiare o fare un’esperienza lavorativa era un’opzione semplice e a portata di click. Ora, invece, entrare nel Regno Unito richiede permessi, documentazione e vincoli. Il nuovo accordo non riporta indietro le lancette, ma getta le basi per un futuro più accessibile agli under 30. Nessuna rivoluzione immediata: nessun ritorno alla libertà di movimento, ma un possibile spiraglio sotto forma di un programma chiamato Youth Experience Scheme.
Il progetto mira a facilitare la mobilità giovanile per studio, lavoro o volontariato, sul modello di accordi già attivi tra Londra e Paesi come Australia, Nuova Zelanda e Giappone. Si tratterebbe di permessi a tempo, forse di tre o quattro anni, e soggetti a quote annuali da negoziare. Non una porta spalancata, ma una finestra regolata con attenzione.
Nel 2023, il Regno Unito ha concesso circa 24.000 visti per programmi simili. Quante saranno le “carte” disponibili per gli europei? È ancora tutto da decidere.
Anche il fronte accademico è oggetto di trattative. Il sogno di frequentare un’università britannica, un tempo alla portata di molti studenti Ue, oggi rischia di essere un privilegio per pochi. Le rette, che prima erano uguali per cittadini europei e britannici, sono più che raddoppiate per gli stranieri: si parte da 9.000 sterline per arrivare a oltre 20.000 l’anno. Bruxelles spinge per un riequilibrio, ma Londra resiste.
Oltre al nodo delle tasse universitarie, resta da chiarire anche il tema delle coperture sanitarie per gli studenti in mobilità, un dettaglio tutt’altro che secondario.
A frenare un’apertura più decisa è la prudenza del governo di Keir Starmer. Incastrato tra gli equilibri post-Brexit e la pressione dei nazionalisti di Reform UK, il Labour ha ribadito che non intende reintrodurre la libera circolazione dei cittadini europei.
Eppure, anche il Regno Unito ha tutto da guadagnare da un flusso controllato ma stabile di giovani lavoratori. Settori come la ristorazione, il commercio e i servizi soffrono da anni la carenza di personale. Prima della Brexit, erano proprio i ragazzi europei a colmare quei vuoti. Oggi, il rischio è che le opportunità si riducano da entrambe le sponde della Manica.
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