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A 40 anni dalla tragedia dell'Heysel

Parla il fotografo Salvatore Giglio: "Un mese prima andai in quello stadio, ecco cosa dissi a Boniperti..."

La morte di 39 tifosi prima di Juve-Liverpool raccontata da chi l'ha fotografata: "Tutti i giorni mi chiedo se ho immortalato il loro ultimo respiro"

 Parla il fotografo Salvatore Giglio: "Un mese prima andai in quello stadio, ecco cosa dissi a Boniperti..."

"Cronaca di una strage annunciata", "L'ultimo respiro" foto di Salvatore Giglio

«Tutti i giorni mi chiedo se avrò fotografato l’ultimo respiro di quelle 39 vittime». Le parole di Salvatore Giglio, 75 anni, allora fotografo ufficiale della Juve di Boniperti e del Guerin Sportivo arrivano dritte dritte come un pugno nello stomaco a 40 anni di distanza dalla tragedia dell’Heysel. La scatola dei brutti ricordi è lì, nel suo studio archivio, una scatola piena di foto, scatti di quella immane tragedia che Salvatore, allora 35 anni, ricorda come se fosse ieri. «E che rivivo ogni volta che entro qui e leggo Heysel su quella scatola», sottolinea. «Dico sempre che quella sera mi sono ritrovato a fare il fotoreporter di guerra per quello che ho visto e fotografato», aggiunge.

La devastazione del Settore Z (foto gentilmente concessa da Salvatore Giglio)

Ma Salvatore, in quello stadio, c’era già stato qualche settimana prima: «Mi mandò come sempre Hurrà Juventus - racconta Giglio - per confezionare un servizio pre-partita. Mi ritrovai a fare delle foto a uno stadio fatiscente, non adatto per ospitare una finale del genere, di Coppa dei Campioni, tra due squadre - come Juventus e Liverpool - che avevano tanti e tanti tifosi, una finale tra due squadre così blasonate. Non c’erano uscite di sicurezza, l’unica era una porticina... Nelle curve c’erano dei cornicioni in cemento talmente fragili che poi furono staccati e usati come pietre dai tifosi inglesi. Le gradinate erano in terra battuta e le reti sembravano quelle usate per recintare i pollai...».

Tra i morti e i feriti dell'Heysel (foto gentilmente concessa da Salvatore Giglio)

«Rientrato a Torino - continua Giglio - lo dissi anche al presidente Boniperti, mostrandogli le foto di quel servizio: “L’Uefa ha scelto di giocare lì: che possiamo farci?”, mi rispose». «La gendarmerie non era preparata - è ancora Giglio -, durante tutta la giornata gli inglesi avevano distrutto mezza città e quelli non avevano mosso un dito. Solo dopo che accadde la tragedia arrivarono rinforzi». Tante delle foto del settore Z ridotto a brandelli tra oggetti inanimati e vite spezzate sono le sue: «E di tanti altri fotografi come me che hanno immortalato la storia, affinché non possa essere mai dimenticata, di una tragedia assurda». Ma non è stato facile: «Anche perché in quel momento - aggiunge Totò - dentro di me c’era l’uomo che avrebbe voluto fuggire dalla morte e dall’altra parte il professionista che ha sentito il dovere di fotografarla la morte».

A proposito: «Sono stato protagonista di una storia nella storia - aggiunge Giglio -, perché un papà cercava sua figlia dispersa. Antonio Conte e la sua Giuseppina: “Indossa dei pantaloni verdi”, mi disse. Lo aiutai a cercarla e poi la ritrovammo morta». Per molti la Juve non avrebbe dovuta giocare quella partita e soprattutto festeggiare quella coppa maledetta, macchiata di sangue: «Da fotografo ufficiale - racconta Giglio - avevo accesso agli spogliatoi e so come sono andate le cose. Non è vero che Boniperti voleva giocare. Un responsabile dell’Uefa li obbligò». «Come i giocatori furono obbligati a fare il giro del campo alla fine della partita. Per fare in modo che le due tifoserie non si incrociassero fuori dallo stadio. In 40 anni ne sono state scritte tante di parole. Ma io ero lì e posso raccontare la verità».

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