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il concerto
19 Giugno 2025 - 16:45
Ieri sera, Roma ha assistito a qualcosa di raro: un concerto al Circo Massimo in punta di piedi. Senza clamori, senza transenne ovunque, senza la retorica dell’evento epocale. Ma con un’orchestra, trenta musicisti, e un cantautore calabrese che canta come si stendono i panni: con cura, con umiltà, con affetto. È il mondo di Brunori Sas, che ieri ha portato la sua “società in accomandita sentimentale” su uno dei palcoscenici più imponenti d’Italia. E ci è riuscito senza mai smettere di essere se stesso.
Ad accogliere Dario Brunori, una platea ordinata e composta, quasi tutta seduta, perfetta incarnazione del suo pubblico: gente dal cuore stanco e le ginocchia che scricchiolano, ma ancora capace di ridere, emozionarsi e soprattutto riconoscersi nelle sue canzoni. Quelle che parlano dei piccoli drammi quotidiani, degli amori imperfetti, dei sogni messi da parte per pagare l’affitto.
In un'epoca di concerti iperprodotti, Brunori ha scelto l’essenziale travestito da sinfonico, accompagnato dall’Ensemble Symphony Orchestra diretta da Giacomo Loprieno. Un esperimento ardito: portare i suoi brani intimi in una cornice solenne. Ma la scommessa ha funzionato. Gli archi hanno dato spessore alla malinconia, la sezione fiati ha amplificato l’ironia e il pubblico si è lasciato trasportare da un’alternanza perfetta tra commozione e risata.
«Occhio che ho una certa tendenza alla tirannide. Ma sarei comunque più illuminato di tanti colleghi», scherza dal palco. La sua è una comicità lieve e autoironica, quella di chi sa esorcizzare il dolore ridendoci sopra, e poi tornare a cantarlo, come se nulla fosse. È questo equilibrio tra il tragico e il comico, tra il cuore in mano e la battuta pronta, che rende Brunori così amato. Un artista che sa stare in scena con l’autenticità di un amico che si è appena seduto al tuo tavolo, con lo sguardo un po’ stanco ma la voglia ancora viva di raccontarti qualcosa che vale la pena ascoltare.
I brunoriani non sono un fandom urlante. Sono una folla che ascolta, che riflette, che canta con un filo di voce come se temesse di disturbare. Sono quelli che ridono a una battuta su Diego e poi si emozionano in silenzio durante La verità. Che portano cartelli tipo “Sposerò Dario Brunori” e sanno che non è solo romanticismo, ma condivisione di una playlist emotiva.
Nelle tribune semivuote, seduti come in un flashback pandemico, spettatori assorti con le gambe accavallate e gli occhi lucidi.
Brunori non ha usato l’orchestra per ingigantire se stesso, ma per rendere ancora più percepibile la sua piccolezza. Ha dato voce a 15 anni di canzoni, pescando da tutti i suoi sei album. Una mappa sentimentale, tracciata con cura, che ha toccato le tappe più importanti della sua carriera senza mai diventare autocelebrativa.
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