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AFRICA
22 Giugno 2025 - 07:55
Il complesso minerario Loulo-Gounkoto, di proprietà della compagnia canadese Barrick Gold, è stato posto sotto amministrazione provvisoria per sei mesi da un giudice del Mali, nell’ambito di un contenzioso in corso tra l’azienda e il governo militare del paese africano. Lo ha stabilito lunedì il giudice Issa Aguibou Diallo, che ha comunicato agli avvocati della società la nomina dell’ex ministro della Salute Zoumana Makadji come amministratore temporaneo, incarico che dovrà essere formalizzato entro quindici giorni.
La decisione rappresenta un nuovo capitolo nella lunga disputa tra Barrick Gold e le autorità maliane, incentrata su presunti arretrati fiscali e su contratti considerati sfavorevoli, ereditati da governi precedenti. Il conflitto era già esploso nei mesi scorsi, portando all’emissione di un mandato d’arresto per l’amministratore delegato del gruppo, Mark Bristow, e alla proposta della compagnia di versare 370 milioni di dollari per chiudere la questione.
Secondo quanto si legge in una nota diffusa da Barrick sul proprio sito web, la proprietà legale del complesso Loulo-Gounkoto resta alle controllate dell’azienda, ma il controllo operativo è stato trasferito a un’amministrazione esterna. La società ha anche ricordato che, lo scorso dicembre, ha avviato una procedura di arbitrato presso il Centro Internazionale per la Risoluzione delle Controversie in Materia di Investimenti (ICSID), nel tentativo di risolvere le divergenze con il Mali sul complesso minerario.
Nonostante l’apertura alla via arbitrale, le autorità di Bamako hanno adottato una serie di misure sempre più dure, tra cui l’arresto di dipendenti di Barrick, tuttora detenuti, e la sospensione delle esportazioni di oro. L’azienda, che opera nel paese da trent’anni, ha ribadito il proprio impegno a collaborare con il governo maliano per individuare una soluzione costruttiva e condivisa, proseguendo parallelamente il percorso di arbitrato internazionale.
Barrick ha inoltre espresso profonda preoccupazione per la sorte dei propri lavoratori, definiti "ingiustamente incarcerati" e "strumentalizzati" nel quadro del contenzioso in corso. La compagnia ha denunciato la mancanza di motivazioni credibili a giustificazione di tali detenzioni, sottolineando come le richieste avanzate dalle autorità locali non siano supportate da basi giuridiche o fattuali.
Il Mali, tra i principali produttori d’oro del continente africano, è un Paese segnato da instabilità, povertà diffusa e dalla minaccia del terrorismo jihadista. Dopo il colpo di stato del 2020, la giunta militare ha accentuato la pressione sulle compagnie minerarie straniere nel tentativo di aumentare le entrate pubbliche. A conferma del clima di tensione, lo scorso novembre anche l’amministratore delegato della compagnia australiana Resolute Mining e due suoi collaboratori erano stati arrestati nella capitale Bamako. Sono stati rilasciati solo dopo che l’azienda ha versato 80 milioni di dollari alle autorità locali, impegnandosi a pagare una somma equivalente nei mesi successivi.
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