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Fatti di cronaca internazionali
01 Luglio 2025 - 10:45
L’Armenia, piccola repubblica caucasica stretta tra Russia, Turchia e Azerbaigian, vive da anni una situazione politica delicata, segnata da conflitti territoriali e tensioni interne. Dopo la guerra del 2020 con l’Azerbaigian, che ha portato alla perdita di gran parte del conteso territorio dell'Artsakh (oggi chiamato Nagorno-Karabakh), e la successiva deportazione da parte degli azeri del popolo armeno nel 2023, il governo guidato dal primo ministro Nikol Pashinyan ha cercato di avviare un percorso di normalizzazione con i Paesi vicini, inclusi i suoi storici avversari Baku (Azerbaigian) e Ankara (Turchia). Questa svolta diplomatica ha però alimentato profonde divisioni interne.
Da un lato, vi sono i settori più pragmatici e riformisti, che vedono nel dialogo l’unica via per garantire stabilità e sviluppo. Dall’altro, il fronte nazionalista e conservatore, in cui spicca la potente Chiesa Apostolica Armena, riconosciuta come la più antica Chiesa cristiana nazionale al mondo, fondata nel I secolo d.C. e custode di un’identità religiosa e culturale profondamente radicata nel popolo armeno. Questa istituzione religiosa, che ha accompagnato la storia del Paese per quasi due millenni, esercita una forte influenza sociale e politica e si oppone con fermezza alle politiche del governo, accusato di tradimento della patria.
In questo contesto teso si inserisce la nascita nel 2024 del movimento “Tavush per la Patria”, guidato dall’arcivescovo Bagrat Galstanyan, primate della diocesi di Tavush, al confine con l’Azerbaigian. Il gruppo nasce in risposta alla controversa ridefinizione del confine, percepita dalle comunità locali come un abbandono da parte dello Stato e una minaccia alla sicurezza nazionale. “Tavush per la Patria” ha organizzato manifestazioni e richieste di dimissioni del governo, guadagnando rapidamente consensi.
Tuttavia, le autorità armene denunciano un’escalation. Secondo il Servizio di Sicurezza Nazionale, il movimento si sarebbe trasformato in un’organizzazione segreta chiamata “Sacred Struggle”, composta da ex militari, poliziotti e volontari, con l’obiettivo di rovesciare il governo attraverso azioni violente quali attentati e assalti armati.
Il 25 giugno 2025, questa situazione è esplosa con l’arresto dell’arcivescovo Galstanyan, accusato di aver pianificato un colpo di Stato contro il primo ministro Pashinyan. Insieme a lui, sono finiti in manette almeno altri 13 co-indagati. Le forze dell’ordine hanno sequestrato armi, droni e documenti, mentre la difesa sostiene l’assenza di prove concrete e denuncia una persecuzione politica. Nella residenza del prelato non sono stati trovati armamenti, e alcune intercettazioni audio sono ritenute manipolate.
A pochi giorni dall’arresto di Galstanyan, è stato fermato anche un altro alto prelato, l’arcivescovo Mikael Ajapahyan, aggravando ulteriormente lo scontro tra Stato e Chiesa.
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Questa frattura segna un momento di crisi profonda per l’Armenia, che si trova a dover gestire non solo le pressioni geopolitiche ma anche una polarizzazione interna che mette a rischio la stabilità democratica. Il governo di Pashinyan punta a consolidare il proprio potere e a contenere il dissenso, mentre la Chiesa si conferma un attore politico di primo piano, pronto a difendere con forza le proprie posizioni.
In attesa del processo, Galstanyan è trattenuto in custodia cautelare per due mesi. Gli sviluppi di questa vicenda saranno cruciali per capire quale direzione prenderà l’Armenia, un Paese ancora profondamente segnato da ferite centenarie aperte e tensioni non risolte.
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