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IL CASO
07 Luglio 2025 - 05:35
Aveva tutto, Giovanni Zippo. Una divisa, una famiglia, un lavoro. Ma non aveva lei. Alle tre del mattino, quando la città dorme e i pensieri prendono strade che di giorno si evitano, Giovanni Zippo ha infilato la chiave nella serratura dell'alloggio di Madalina.
La casa di Giovanni Zippo
Era una copia, un doppione, come forse si sentiva lui nella vita di quella donna. Perché Madalina Hagiu, rossa di capelli e libera d’animo, stava altrove. All’Isola d’Elba, dal suo compagno ufficiale, Salvatore, un cuoco. Lì si trovava mentre Gianni — come lo chiamavano — entrava di soppiatto nell’appartamento di via Nizza 389. Zippo quella casa la conosceva bene, erano tre anni che lui e Madalina portavano avanti una relazione clandestina. E lui non lo accettava. Quaranta anni, compiuti a maggio. Faceva la guardia giurata per Sicuritalia, e quella notte era in servizio nella zona del Lingotto. Uniforme addosso, pistola alla cintura, E così è entrato. Per distruggere.Ha cosparso il pavimento di benzina, ha tagliato un tubo del gas. Poi ha acceso una fiamma. La prima fiammata lo ha investito. Le gambe, il volto, le braccia. Si è dato alla fuga. Ma il fuoco, quello vero, aveva appena cominciato a divorare. Il palazzo ha tremato. Le fiamme sono salite, hanno sfondato porte, ingoiato vite.
Jacopo Peretti è morto. Aveva 33 anni, era il vicino di casa di Madalina. Non sapeva nulla di lei. Di lui — quel folle che aveva appiccato il fuoco — nemmeno il nome. Jacopo è morto per nulla. O forse per tutto, perché in quella tragedia c’è tutta la violenza cieca dell’ossessione. Nello stesso momento, in un altro appartamento, Robert, 12 anni, dormiva nel lettone con sua madre, Nicoleta. Il fuoco gli ha bruciato un terzo del corpo. Ore in terapia intensiva al Regina Margherita, ustioni che non si lavano via, neppure con gli anni. Nicoleta tremava davanti a quella porta di vetro, convinta che fosse stato il fato, in lacrime, ferita, a pregare che Robert si svegliasse. E ancora. Una bambina, di 6 anni, ferita, schiacciata da un muro crollato. La figlia di Mohamed, un padre che oggi non ha più nulla: né una casa, né medicine per la moglie invalida, né il senso della sicurezza che si dà per scontato finché qualcuno non te lo porta via con un fiammifero. Oltre 50 sfollati, alcuni a casa non torneranno mai, e chi c’è tornato oggi trema a ogni folata di vento, un trauma troppo forte, che non si dimentica. Giovanni Zippo non voleva uccidere Jacopo, diranno in tribunale. Ma sapeva. Sapeva che quel gesto avrebbe potuto ferire, distruggere. E lo ha fatto lo stesso.
Il palazzo dove viveva Giovanni Zippo
Per amore? Ma l’amore non brucia i palazzi. L’amore non uccide. Nella sua casa in corso Unione Sovietica, i vicini sono sotto shock. «Sembrava timido», dicono. «L’ambulanza era venuta lunedì sera. Aveva delle bruciature alle gambe, ma non voleva salire. I familiari lo hanno convinto». Ora si trova al Cto, nel reparto grandi ustionati. Piantonato dalla polizia. Accusato di omicidio volontario e crollo colposo. I vicini lo descrivono come un uomo normale. Una casa di proprietà, una macchina, un lavoro fisso, una famiglia presente. «Ogni tanto lo venivano a trovare i nonni, la sorella. Una volta sola l’ho visto con una ragazza dai capelli rossi». Madalina. Oggi, lunedì, ci sarà l’interrogatorio. Il suo avvocato, Basilio Foti, lo incontrerà per la prima volta. Le testimonianze, quelle dei colleghi, degli amici, dei genitori, lo inchiodano insieme alle immagini delle telecamere di sorveglianza.
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