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Saviano, giustizia dopo 17 anni: condannati il boss Bidognetti e il suo avvocato per le minacce

Confermate in appello le pene per le intimidazioni mafiose. Lo scrittore commosso: “E' chiaro che la camorra teme chi racconta la verità”

Saviano, giustizia dopo 17 anni: condannati il boss Bidognetti e il suo avvocato per le minacce

Dopo quasi diciassette anni, la giustizia ha messo un punto fermo: Francesco Bidognetti, esponente di spicco del clan dei Casalesi, e il suo avvocato Michele Santonastaso sono stati riconosciuti colpevoli di aver minacciato lo scrittore Roberto Saviano e la giornalista Rosaria Capacchione. La Corte d’Appello di Roma ha confermato le condanne già inflitte in primo grado: un anno e sei mesi per il boss, un anno e due mesi per il legale, entrambi per minacce aggravate dal metodo mafioso.

All'annuncio della sentenza, letto dalla presidente Cristina Scipioni, Saviano non riesce a trattenere l’emozione. Si stringe in un abbraccio al suo legale e scoppia in lacrime, visibilmente scosso.

«La decisione è importante, resterà agli atti – ha dichiarato lo scrittore – ma la mia esistenza è stata devastata. Mi hanno portato via la vita, e io non sono riuscito a difendermi da tutto questo. Ora il mio corpo sarà sorvegliato ancora una volta, e pensare che c’era chi sosteneva non avessi bisogno della scorta».

Il procedimento ruotava attorno a un episodio preciso: la lettura in aula, il 13 marzo 2008, di una lettera firmata da Bidognetti e Santonastaso, in cui si chiedeva la ricusazione dei giudici impegnati nel maxi-processo Spartacus. In quella lettera venivano attaccati apertamente i giornalisti che raccontavano le dinamiche e il potere della criminalità organizzata.

Saviano ha commentato con amarezza ma anche con fermezza: «Sedici anni per arrivare a una condanna non rappresentano una vittoria. Ma ora abbiamo una certezza: la camorra teme l’informazione. In quella lettera – ha aggiunto – i boss non presero di mira la politica, bensì chi raccontava il crimine. Per la prima volta, in un'aula di tribunale, è stato detto che i giornalisti, facendo nomi e cognomi, erano i veri colpevoli delle loro condanne. Un fatto senza precedenti, in Italia come altrove».

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