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inquinamento e salute

Governi divisi sulla plastica, l’accordo globale resta lontano e la salute è sempre più a rischio

Lancet denuncia una crisi sanitaria e ambientale crescente, mentre i negoziati internazionali faticano a trovare un’intesa

Governi divisi sulla plastica, l’accordo globale resta lontano e la salute è sempre più a rischio

Un’analisi pubblicata sulla rivista Lancet, una delle più autorevoli nel campo medico, ha lanciato un’allerta globale: la plastica rappresenta un pericolo crescente, poco riconosciuto e sottovalutato, per la salute umana e per l’ambiente. Secondo lo studio, il costo sanitario globale collegato all’esposizione alle plastiche ammonta a 1.500 miliardi di dollari l’anno, con impatti particolarmente gravi su bambini, feti e anziani.
L’allarme arriva a pochi giorni dall’apertura a Ginevra della nuova sessione di negoziati per un trattato internazionale sulla plastica, voluto dalle Nazioni Unite ma ancora senza una vera intesa tra i paesi coinvolti. La quinta tornata di incontri, tenutasi a Busan nel 2024, si è chiusa senza risultati concreti, e ora tutte le speranze sono affidate al nuovo round previsto dal 5 al 14 agosto. Tuttavia, le divisioni tra paesi produttori di petrolio e promotori del trattato restano profonde.

La plastica, nelle sue molte forme, ha avuto un ruolo fondamentale nel migliorare la vita quotidiana: ha reso più sicura la conservazione dei cibi, permesso avanzamenti medici e abbassato i costi di molti beni di consumo. Ma secondo Lancet siamo oggi nel pieno di una “crisi della plastica” globale, dovuta alla sua proliferazione incontrollata e al limitato riciclo. Dal 1950 a oggi, la produzione di plastica è cresciuta di 200 volte, e secondo le stime potrebbe triplicare entro il 2060. Oltre 8 miliardi di tonnellate sono già finite nell’ambiente, raggiungendo anche ecosistemi estremi come l’Everest o gli abissi oceanici. Le microplastiche, derivate dalla frammentazione dei materiali, contaminano aria, acqua e catene alimentari, con effetti ancora in fase di studio ma potenzialmente dannosi per la salute umana.

L’analisi pubblicata da Lancet evidenzia che oltre 16.000 sostanze chimiche sono presenti nei materiali plastici, alcune delle quali note per la loro tossicità se assorbite o inalate. Feti, neonati e bambini risultano i più esposti, con collegamenti ipotizzati a aborti spontanei, nascite premature, infertilità e difetti congeniti.
Oltre all’impatto diretto, esiste anche un forte effetto ambientale indiretto: più del 98% delle plastiche è prodotto da derivati del petrolio, con una produzione globale che emette circa 2 miliardi di tonnellate di CO₂ equivalente all’anno. E mentre solo il 10% della plastica viene effettivamente riciclato, cresce il timore che l’attuale sistema sia insostenibile sul lungo termine.

L’obiettivo dei negoziati è quello di raggiungere un accordo vincolante per contenere la produzione, limitare l’inquinamento e promuovere il riciclo. Ma i paesi produttori di petrolio, tra cui l’Arabia Saudita, spingono per un approccio meno restrittivo, focalizzato sul miglioramento del riciclo e non su un taglio netto alla produzione.
Ormai è evidente che il riciclo, da solo, non basta. Servono politiche più incisive, investimenti in tecnologie alternative, e un impegno globale concreto, che per ora resta sulla carta. Ogni rinvio potrebbe rendere ancora più difficile arginare una crisi che, secondo gli esperti, non riguarda solol’ambiente, ma anche la salute delle generazioni future.

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