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il caso

Suicidio in carcere di Stefano Argentino, sono sette gli indagati

La Procura vuole chiarire eventuali responsabilità nella morte del 27enne accusato di femminicidio

Suicidio in carcere di Stefano Argentino, sono sette gli indagati

Sono sette le persone indagate per il suicidio in carcere di Stefano Argentino, il 27enne di Noto che lo scorso aprile aveva ucciso a coltellate, in strada e davanti a numerosi testimoni, la collega universitaria Sara Campanella, 22 anni, dopo che lei lo aveva respinto.

Argentino, reo confesso, era detenuto nel penitenziario di Gazzi e mercoledì scorso si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo nella cella che condivideva con un anziano detenuto. Secondo quanto ricostruito, inizialmente era stato sottoposto a stretta sorveglianza e isolamento per il rischio di gesti autolesionisti, ma di recente, ritenuto in miglioramento dagli esperti che lo seguivano, era stato trasferito a regime ordinario.

Gli avvisi di garanzia sono stati notificati alla direttrice e alla vice direttrice del carcere, al responsabile del trattamento e a quattro professionisti – uno psichiatra e tre psicologi – che lo avevano in cura. L’indagine, coordinata dal procuratore Giuseppe D’Amato, ipotizza i reati di omissione di atti d’ufficio e morte come conseguenza di altro reato, con l’obiettivo di chiarire se vi siano state carenze nella sorveglianza e nella gestione sanitaria del detenuto. Martedì sarà conferito l’incarico per l’autopsia, alla quale gli indagati potranno partecipare con propri consulenti.

Durissimo il commento del legale di Argentino, Giuseppe Cultrera, che ha parlato di “responsabilità dello Stato” e chiesto che la vicenda venga approfondita: “Il suo stato mentale non era compatibile con il carcere, avrebbe dovuto essere trasferito in una Rems o in un istituto a custodia attenuata”.

Per il femminicidio di Sara Campanella era fissata per il 10 settembre la prima udienza del processo. Le indagini dei carabinieri avevano documentato pedinamenti, minacce e un’accurata premeditazione del delitto: sul telefono dell’imputato era stata trovata una foto della vittima deturpata con scritte minacciose, oltre a ricerche online su come colpirla e all’acquisto del coltello poi utilizzato.

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