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Alluvioni, ecomostri e deiezioni di cani. Cosa sta succedendo a Bardonecchia?

Tutti i problemi della “Perla delle Alpi”, nel pieno della stagione turistica e in attesa di rilancio

Alluvioni, ecomostri e deiezioni di cani. Cosa sta succedendo a Bardonecchia?

Alluvioni, ecomostri e deiezioni di cani. Cosa sta succedendo a Bardonecchia?

C’è chi, per essere ricordato, si fa intitolare una piazza. Chi pubblica un’autobiografia. E poi c’è la sindaca di Bardonecchia, che ormai compare nel lessico nazionale come certe voci di Wikipedia: “notoriamente associata a” una manciata di eventi clamorosi. Prima le presunte molestie subite dall’ex comandante dei vigili. Poi la sua silhouette in stivali di gomma, immortalata ovunque dopo la prima alluvione, due anni fa. Infine, il bis di quest’anno, praticamente lo stesso copione: temporale violento, torrente Frejus fuori controllo, paese ricoperto di fango e detriti. Due anni fa, appena prosciugato l’ultimo seminterrato, la sindaca aveva garantito che con i lavori “importanti” fatti a monte, tragedie simili non si sarebbero più viste. Quest’anno, invece, si sono riviste con un’aderenza alla sceneggiatura che avrebbe fatto impallidire una replica televisiva. Al ministro della Protezione Civile Musumeci, che si era azzardato a dire l’ovvio (“La natura, quando viene costretta, si riprende ciò che le è stato tolto”), lei ha risposto con un “Venga a vedere!” di sfida. Per fortuna il ministro ha trovato altro da fare: se fosse andato, avrebbe visto fondamenta di condomini piazzate nel letto del torrente e un corso d’acqua delittuosamente incanalato in sponde di cemento che lo trasformano in pista da velocità. In fondo, la pista finisce con una curva artificiale che l’acqua – quando è tanta e arrabbiata – ignora, preferendo uscire a far danni.

E non è finita: a Bardonecchia, il visitatore attento può ammirare l’ecomostro di Campo Smith e la metamorfosi del luogo in un luna park montano. Un tempo delizioso borgo alpino di frontiera, oggi Bardo ospita più cemento che larici, merito di decenni di speculazione edilizia. Certo, l’attuale sindaca non è responsabile di tutto: il palazzo comunale, per esempio, è un orrendo incrocio tra brutalismo con paramano e palazzotto popolare di periferia anni Settanta, e quello è un lascito storico che non si cancella e dà la cifra dell’ignavia delle varie amministrazioni succedutesi nel tempo. Poi ci sono le trasformazioni silenziose, quelle che non fanno notizia ma cambiano un luogo. Bardonecchia, una volta, era piena di carrozzine e bambini. Oggi, le carrozzine sono quelle dei cani. Gli esseri umani più giovani si contano sulle dita di una mano, mentre per le vie sfilano branchi di senior e cani di ogni taglia. Bene, anzi molto bene, i cestini per la raccolta delle deiezioni, male il fatto che senza sanzioni applicate ai trasgressori, il ridente paese rischia di mantenere il record di “cittadina alpina con più cacche al metro quadro”. Un’altra voce da inserire nell’agenda: l’inquinamento acustico. Perché a Bardonecchia, nei mesi di punta, l’aria risuona del rombo – anzi, del ronzio infernale – delle “Ape Piaggio” guidate da minorenni. Mezzi che, per intensità sonora, riescono a essere più molesti di uno sciame impazzito di api vere. Intervenire qui, attenuando l’inquinamento acustico, non sarebbe una rivoluzione urbanistica ma un segno di civiltà.

E già che ci siamo, qualche piccolo tocco di cura urbana farebbe miracoli: togliere i pacchianissimi altoparlanti di via Medail, che spesso sparano musica da centro commerciale; ripiantare gli alberi morti nei filari, così da evitare l’effetto “paesaggio post-apocalittico”; eliminare il parcheggio centrale davanti al Palazzo delle Feste, trasformandolo in un’aiuola che ridia respiro alla prospettiva di viale Roma verso il palazzo più bello del paese. Piccoli interventi, certo. Sarebbe sufficiente un po’ di gusto e un filo di decisione per restituire a Bardonecchia un po’ di quella bellezza che, sotto cemento, rumori e cani, c’è ancora. Basterebbe togliere qualche stortura – e un paio di marmitte rumorose – per far capire che l’occhio, e il cuore, sono ancora lì, pronti a difendere ciò che resta. Perché Bardonecchia non è rassegnata: aspetta. E spera.

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