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In Italia la vita lavorativa è corta, i giovani vengono esclusi e il sistema previdenziale è a rischio

La durata della vita lavorativa italiana è tra le più basse in Europa. CNA "Servono politiche per inserire i giovani, puntando su micro e piccole imprese, vero motore del ricambio generazionale"

In Italia la vita lavorativa è corta, i giovani vengono esclusi e il sistema previdenziale è a rischio

L'Italia lavora meno a lungo del resto d’Europa. Con una media di 32,8 anni di vita lavorativa, il nostro Paese si piazza penultimo nella classifica stilata da CNA Area Studi e Ricerche all’interno del report “Demografia, occupazione e previdenza - L’Italia nel contesto europeo”. Peggio fa soltanto la Romania. È un dato che fotografa una realtà preoccupante: trent’anni di riforme pensionistiche non sono bastati a disinnescare una mina sotto i conti della previdenza pubblica nazionale.
A pesare sulla durata ridotta della vita lavorativa è soprattutto l’ingresso ritardato dei giovani nel mondo del lavoro. A confermarlo ci sono anche i numeri sulla composizione dell’occupazione giovanile. In Italia, nel 2024, solo il 4,7% dei posti di lavoro è occupato da ragazzi tra i 15 e i 24 anni. È una quota nettamente inferiore rispetto a quella registrata nelle altre principali economie europee: 10,1% in Germania, 9,1% in Francia e 6% in Spagna.

Facendo un confronto internazionale sulla durata della vita lavorativa, troviamo in cima alla classifica l’Olanda con 43,8 anni, seguita da Svezia (43 anni) e Danimarca (42,5 anni). La media UE a 27 Paesi si attesta a 37,2 anni. Tra i grandi Paesi europei, Germania tocca i 40 anni, Francia si mantiene esattamente sulla media, mentre Spagna raggiunge 36,5 anni.
Secondo la CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa), questi dati evidenziano una criticità strutturale che non può più essere ignorata. Si rende indispensabile invertire questa tendenza non solo per garantire la sostenibilità del sistema previdenziale ma anche per evitare la disgregazione di un sistema produttivo in difficoltà per mancanza di ricambio generazionale.

A fronte di un’evidente crisi dell’occupazione giovanile, la CNA individua nelle micro e piccole imprese la chiave per una possibile inversione di rotta. Sono proprio queste realtà produttive, spesso a conduzione familiare o con un forte radicamento territoriale, a offrire le migliori opportunità di inserimento e crescita professionale per i più giovani. Nelle microimprese italiane, cioè quelle con meno di dieci addetti, ben il 22,4% dei dipendenti ha meno di trent’anni. Una quota significativa, soprattutto se confrontata con quella delle grandi imprese, dove i giovani rappresentano appena il 12% degli occupati.

Questi numeri indicano con chiarezza dove si può intervenire per ricostruire un equilibrio intergenerazionale nel mondo del lavoro. L’Italia ha bisogno di giovani che lavorino di più e prima, non solo per dare ossigeno al sistema previdenziale, ma anche per rigenerare il tessuto produttivo e renderlo più resiliente. Le imprese di piccola dimensione possono essere il motore di questa trasformazione, ma hanno bisogno di politiche mirate, di sostegno concreto e di un contesto che favorisca l’inserimento attivo delle nuove generazioni.

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