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Il caso
14 Agosto 2025 - 20:24
Case popolari con serrature forzate, interni riorganizzati alla meglio, cucine che odorano di umido e paura. A Torino ce ne sono ancora cento. Occupate abusivamente. La metà, e forse anche qualcosa di più, riferisce l’assessore regionale al Welfare e alla Casa, Maurizio Marrone, da famiglie rom o nomadi. Negli ultimi mesi, la città ha accelerato. Sgomberi portati a termine, con l’aiuto del prefetto Donato Cafagna.
«Se nel nucleo ci sono soggetti fragili, come minori – spiega Marrone – il Comune deve predisporre una struttura d’accoglienza». I bambini, quelli, ci sono sempre. Si vedono. Nei cortili, tra i materassi buttati a terra, sui balconi senza ringhiere. Sono parte di un’immagine che ha smesso di fare notizia ma non ha mai smesso di esistere. Zone coinvolte? Democraticamente, i rom si divisono tra Torino Nord e Mirafiori. E non solo di case si parla, a proposito di emergenza rom: gli insediamenti “abusivi”, aree di cui i nomadi si impossessano e da cui, in teoria, non se ne vanno più. c’è una legge. Approvata poche settimane fa, porta proprio il nome dell’assessore: la cosiddetta “Legge Marrone”. Stabilisce un principio netto: se roulotte o camper sostano in aree non autorizzate per oltre 48 ore, scattano la diffida, il sequestro e la confisca del mezzo.
Il caso simbolo è piazza Caio Mario, trasformata per mesi in un accampamento informale. Lì, i cittadini hanno segnalato ogni giorno ciò che già si vedeva. A occhio nudo. Oggi quell’area è tornata “alla normalità”. Sulla vicenda interviene anche Jacopo Rosatelli, assessore comunale alle Politiche Sociali: «Le persone rom hanno gli stessi diritti e doveri di tutti. Serve cooperazione tra istituzioni per superare le condizioni di emarginazione da cui possono nascere comportamenti devianti, come accaduto a Milano». Rosatelli parla di monitoraggio, di attenzione, di scuola come presidio di legalità e inclusione. Ma sa bene che non basta un regolamento per tenere insieme le crepe. Nel frattempo, bambini crescono tra roulotte e sgomberi. E in attesa di un futuro, imparano troppo presto come si sopravvive nel presente.
Faide tra parenti nei camper e nelle roulotte. La città è un grande campo
Tre aree ufficiali, decine di insediamenti informali, centinaia di persone ai margini. Torino fa ancora i conti con la gestione, sempre provvisoria, della presenza rom e nomade sul proprio territorio. Gli insediamenti “autorizzati” in città rimasti sono tre: Sangone (corso Unione Sovietica 655), Le Rose (via Lega 50) e Strada dell’Aeroporto (civico 235/25), al confine con Borgaro. A oggi, sono circa 130-140 le persone presenti in Strada dell’Aeroporto, mentre una settantina vivono stabilmente in ciascuno degli altri due campi. Ma la mappa reale è ben più ampia. E irregolare. Negli ultimi mesi, decine di accampamenti rom non autorizzati sono stati segnalati in diverse zone della città. Una lista che si allunga di settimana in settimana: strada delle Cacce, via Gonin, via Gaidano, corso Salvemini, via Pernati di Momo, solo per citarne alcuni.
Ci sono poi le presenze irregolari all’interno dei cortili delle case popolari, soprattutto in corso Regio Parco e via Bologna, dove si sarebbero verificati episodi di tensione e scontri tra famiglie rom, in una sorta di faida interna.
Da dieci anni stazionano al Parco Ruffini
La situazione su abusivi e campeggi improvvisati di nuclei nomadi e rom è ormai settimanalmente al centro dei dibattiti in Circoscrizione 3. «Da dieci anni il Parco Ruffini vede mezzi fermi, bambini che non vanno a scuola, sporcizia e degrado, mobili buttati in strada, e ancora grigliate estive, cumuli di immondizia» spiega il consigliere di FdI per la 3, Stefano Bolognesi. «Interrogato più volte l’assessore comunale al Welfare, Jacopo Rosatelli, risponde che si tratta di persone in attesa per questini legate all’Emergenza Abitativa. Spesso ha negato anche la presenza di minori, nonostante le nostre segnalazioni siano corredate di fotografie». Non solo Ruffini «da tre anni i mezzi dei rom sono anche in via Osasco e, saltuariamente, in via Marsigli. E’ una situazione che non è più sostenibile» conclude Bolognesi.
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