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LA STORIA

Viola è cresciuta con pane e alcolismo «Non voglio finire come i miei genitori»

Ha 31 anni e a novembre festeggerà i suoi due anni senza alcol né droghe

Viola è cresciuta con pane e alcolismo «Non voglio finire come i miei genitori»

«Mi chiamo Viola. È un nome di fantasia, ma la mia storia è fin troppo vera». A novembre festeggerà un anniversario particolare: due anni senza alcol né droghe. Per lei, è più importante del compleanno. Ha 31 anni, e ogni giorno combatte con la sua storia, quella di una ragazza cresciuta tra le montagne della Valsusa, in una famiglia devastata dalla dipendenza. «I miei genitori erano entrambi alcolisti. Hanno distrutto se stessi, la casa, e quasi anche me». Il padre, operaio, perde il lavoro quando Viola ha solo 5 anni. Inizia a bere “per noia”, diceva. Ma quella noia diventa presto una trappola quotidiana. Ogni mattina al bar, ogni sera a casa ubriaco. Dopo sei mesi, anche la madre cade nel vortice. Perde il lavoro, comincia a bere, e lascia Viola sola per ore.
«In frigo c’erano solo birre e limoncello. Ancora oggi non sopporto quell’odore». Gli anni passano tra silenzi, ipoteche sulla casa, prestiti non restituiti, e una solitudine tagliente. Nessuno interviene, nemmeno a scuola. Poi il dramma: la madre perde un figlio durante una gravidanza difficile.
È il punto di non ritorno.
«Mi mandavano a comprare da bere perché loro non si reggevano in piedi. Al bar non li volevano più vedere».
A 18 anni, Viola fugge. Non finisce nemmeno il quinto anno delle scuole superiori.
Torino, così grande rispetto al paese dove è cresciuta, sembra una via d’uscita.
Trova lavoro come cameriera in un pub, una stanza in affitto. Ma il passato bussa ancora. Il contatto quotidiano con l’alcol è una miccia accesa. Inizia a bere, poi arriva la cocaina. I turni massacranti, il tempo libero speso nei bar aperti 24 ore, le bottiglie nascoste, i licenziamenti. Fino a una notte in ospedale: coma etilico. «Mi hanno detto che avevo rischiato di morire. Non avevo più una casa, né un lavoro. Solo dipendenza».
La svolta arriva con una comunità di recupero. Viola scappa più volte dalla struttura ma torna. Non ha alternative. Non ha altro posto dove andare.
Dopo anni di ricadute, finalmente trova un punto fermo: un lavoro in un’impresa di pulizie. Ma non è semplice uscirne davvero. Con la testa, più che con il corpo.
«Le sere sono dure, ma resisto. Penso a mio padre, che si è tolto la vita quando la banca ci ha portato via casa. E a mia madre, che ancora oggi beve». La sua voce, una tra tante, rompe il silenzio che ancora circonda il dramma delle dipendenze familiari. Viola non si considera un’eroina, ma una sopravvissuta. Oggi vive un giorno alla volta, senza fare proclami. «Non so cosa sarà tra cinque anni, ma so che oggi ho scelto di stare pulita. Ed è già tanto». Sogna un futuro semplice: un lavoro stabile, una casa tutta sua, forse un cane. E soprattutto sogna di non dover più lottare ogni sera contro l’istinto di affogare tutto in un bicchiere.
«Non voglio dimenticare quello che è successo. Voglio usarlo per costruire qualcosa. Se la mia storia può servire anche a una sola persona per chiedere aiuto, allora ne sarà valsa la pena».

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