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Per l'istruzione l’Italia spende meno della media UE (e i dati smentiscono Valditara)

Il Ministro parla di investimenti pubblici in linea con l’Europa, ma secondo Eurostat e ISTAT siamo agli ultimi posti per spesa sul PIL. Scuola secondaria e università restano le più penalizzate

Per l'istruzione l’Italia spende meno della media UE (e i dati smentiscono Valditara)

Durante il suo intervento al Meeting di Rimini 2025, il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha dichiarato che il finanziamento pubblico italiano all’istruzione sarebbe "non inferiore a quello di tanti altri Paesi europei", arrivando a sostenere che "in rapporto al PIL è persino superiore a quello della Germania". Una tesi che però non regge di fronte ai dati ufficiali. Secondo le rilevazioni Eurostat aggiornate al 2023, riportate anche dall’ISTAT nel report Noi Italia 2025, l’Italia ha speso per l’istruzione il 3,9% del PIL, contro una media UE del 4,7%. La stessa Germania, citata dal ministro, ha investito il 4,5% del suo PIL.

Nel confronto tra i 27 Paesi dell’Unione Europea, l’Italia si colloca nelle ultime posizioni, con una spesa pubblica per l’istruzione più bassa rispetto a quasi tutti gli altri Stati membri. Peggio di noi, solo Romania (3,3%) e Irlanda (2,8%).
Nel 2023, lo Stato italiano ha destinato circa 82,9 miliardi di euro all’istruzione, a fronte di un PIL complessivo di 2.128 miliardi. Un dato che evidenzia non solo una scarsa priorità politica del settore, ma anche una tendenza consolidata negli anni, che ha visto il nostro Paese non superare mai il 4,5% del PIL dal 2000 a oggi.

Guardando all’andamento storico, i numeri confermano il declino strutturale dell’investimento pubblico in istruzione. Nel 2000, la spesa per scuola, università e ricerca rappresentava quasi il 9% della spesa pubblica totale. Nel 2023 siamo scesi al 6,5%, con una riduzione di quasi tre punti percentuali. Anche la spesa per studente in rapporto al PIL pro capite è in calo: era il 23% nel 2000, oggi è sotto il 20%. La contrazione è più evidente nei livelli secondario e terziario, dove l’Italia investe significativamente meno rispetto alla media europea.

Nel dettaglio, i dati più critici arrivano dal comparto universitario. Nel 2021, la spesa pubblica italiana per studente universitario era di circa 7.200 euro all’anno, contro:

  • 16.300 euro della Germania

  • 12.500 euro della Francia

  • 10.500 euro della Spagna

Una distanza che si è ampliata negli anni anche a causa della crescita degli iscritti (soprattutto dopo il 2008), a cui non è corrisposto un adeguato aumento degli stanziamenti.
Va detto che, in termini reali, gli stanziamenti per l’università non sono crollati, ma sono rimasti pressoché invariati rispetto al tasso d’inflazione. È quindi l’aumento della domanda ad aver reso ancora più evidente l’insufficienza delle risorse.

Unica nota positiva: la scuola primaria. Sempre secondo i dati Eurostat, l’Italia è tra i Paesi europei che investono di più per studente in questa fascia, con una spesa pari al 25% del PIL pro capite nel 2021. Un dato superiore a quello di Francia, Spagna e Germania, e che dimostra che il sistema scolastico italiano resta competitivo nella fascia 6–11 anni.
Al contrario, la scuola secondaria è in sofferenza, e anche l’istruzione prescolastica risente del divario tra Nord e Sud, con carenze strutturali e disparità territoriali.

Il ministro Valditara, nel suo intervento, ha attribuito il divario europeo non tanto alla spesa pubblica, quanto alla scarsa presenza di finanziamenti privati in Italia. Questo è vero solo in parte: i dati mostrano che anche la spesa pubblica è tra le più basse. Tuttavia, è effettivamente molto più bassa anche la quota di spesa privata: in Italia le donazioni, i fondi di ricerca e i contributi da aziende e fondazioni sono limitati rispetto a Paesi come Germania, Paesi Bassi o Regno Unito.

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