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Il caso
09 Settembre 2025 - 17:48
Una condanna a tre anni e sei mesi, con l’aggiunta di tre anni di libertà vigilata. La firma sul patteggiamento è arrivata in tribunale, a Torino, per Giacomo Lo Surdo, 44 anni, un passato nei gruppi ultras della Juventus, dove guidava gli “Arditi”, ma soprattutto un nome finito in un’inchiesta più ampia, quella sulle presunte infiltrazioni della ’ndrangheta nel tessuto economico e sindacale del Piemonte. A decidere la giudice Ombretta Vanini, accogliendo la richiesta avanzata dalla difesa, rappresentata dall’avvocato Domenico Peila. La posizione di Lo Surdo era stata stralciata prima dell’estate dal processo principale, che proseguirà per gli altri imputati il prossimo 18 settembre. Un’uscita di scena parziale, però, perché le accuse restano pesanti: due episodi di estorsione e l’appartenenza a un’associazione di stampo mafioso. Secondo la procura, l’ex ultras sarebbe stato affiliato alla ’ndrangheta sin dal 2003, con un ruolo nella locale guidata dai fratelli Adolfo e Aldo Cosimo Crea, almeno fino al 2 ottobre 2012. La storia giudiziaria si intreccia con quella, parallela, di un tessuto criminale che – secondo gli inquirenti – avrebbe trovato spazi anche dentro il sindacato Filca-Cisl, che si è costituito parte civile nel procedimento. Nel troncone principale, a processo ci sono altre figure chiave. La procura ha chiesto oltre 38 anni di condanne complessive. Spiccano i 12 anni e 2 mesi chiesti per Francesco D’Onofrio, ritenuto uno dei vertici della ’ndrangheta piemontese, accusa però respinta con forza dalla difesa. Poi ci sono i 10 anni richiesti per l’ex dirigente sindacale Domenico Ceravolo, descritto dagli inquirenti come un punto di contatto tra criminalità e ambienti istituzionali, e ancora 8 anni e 10 mesi per Claudio Russo, 8 anni e 4 mesi per Rocco Costa, e infine 3 anni e 8 mesi – in continuazione di pena – per Antonio Serratore. Le accuse, formulate a vario titolo dai pm Mario Bendoni, Paolo Toso e Marco Sanini, coprono un arco ampio: associazione mafiosa, aggravata dall’uso delle armi, estorsioni, ricettazione, detenzione illegale di armi. Il caso Lo Surdo, pur isolato per via processuale, si inserisce in un quadro più grande. Il suo profilo, noto in passato per i legami con la curva juventina, viene ora ridisegnato dentro uno scenario investigativo che va oltre lo stadio e si addentra nei territori grigi dell’associazionismo mafioso. La pena patteggiata non cancella le domande di fondo: quanto profonda è stata (o è ancora) la presenza della criminalità organizzata nei territori di Moncalieri e Carmagnola? E quanto spazio ha trovato nei luoghi dove si esercita il potere – anche quello più ordinario, come il sindacato – spesso senza clamore?
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