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Riconoscere uno Stato che non esiste: l’illusione palestinese

Il dibattito sullo Stato di Palestina confonde popolo e nazione con ciò che manca davvero: una struttura statuale

Riconoscere uno Stato che non esiste: l’illusione palestinese

Il dibattito oggi all’ONU sul riconoscimento della Palestina come Stato sovrano si ripresenta ciclicamente nelle cancellerie europee, spesso in coincidenza con calcoli di politica interna. Francia e Regno Unito ne hanno fatto uno strumento di posizionamento elettorale e ideologico, più che una reale strategia diplomatica. Ma al di là delle dichiarazioni, la questione è più radicale: si può riconoscere uno Stato che non esiste?

Secondo Max Weber, lo Stato è l’ente che detiene il monopolio legittimo della forza entro un territorio. La Palestina, nella sua attuale configurazione, non risponde a questo criterio. Non vi è una sovranità unitaria, non vi è un esercito nazionale riconosciuto, non vi è un apparato istituzionale capace di esercitare un’autorità legittima su tutto il territorio. Vi è invece una frammentazione: un’Autorità Nazionale Palestinese debole, priva di reale controllo e sovente delegittimata dal suo stesso popolo, e un’organizzazione come Hamas, che pretende di incarnare la resistenza ma che nei fatti utilizza la popolazione come scudo umano e come capitale politico.

La tragedia del 7 ottobre 2023 lo ha dimostrato con una brutalità innegabile. Il pogrom scatenato da Hamas contro civili israeliani, con l’uso di stupri, torture e rapimenti, non è stato un gesto di autodeterminazione, ma l’ennesima dimostrazione che in assenza di uno Stato democratico il potere cade nelle mani di chi brandisce la violenza come unico linguaggio. Hamas non è un esercito regolare: è un’organizzazione terroristica che, paradossalmente, dovrebbe essere considerata titolare del “monopolio legittimo della forza” se davvero si volesse sostenere che la Palestina è uno Stato. Una contraddizione in termini, che ridicolizza la categoria stessa di Stato.

È evidente che un popolo e una nazione non coincidono con lo Stato. I palestinesi sono un popolo con una storia, una cultura, un’identità nazionale; ma lo Stato palestinese, semplicemente, non c’è. E non lo si può creare per decreto, né per riconoscimento unilaterale di qualche parlamento europeo. Il diritto internazionale non è un palcoscenico per dichiarazioni simboliche: è la sede dove la realtà dei fattisovranità, confini, istituzioni, legittimità — deve incontrarsi con i principi.

La “soluzione dei due Stati”, spesso evocata come panacea, potrà divenire realtà solo quando il popolo palestinese si doterà di una leadership rappresentativa, democratica e autonoma dal ricatto dei terroristi. Finché Hamas sarà in grado di imporre la sua agenda di distruzione e di odio, nessuna architettura politica sarà possibile. E finché l’Autorità Palestinese resterà un apparato debole e corrotto, incapace di esercitare il potere su Gaza o persino su Cisgiordania, parlare di Stato palestinese significa abdicare alla razionalità politica in favore della propaganda.

Israele, dal canto suo, non è esente da errori né da scelte discutibili. Ma lo Stato di Israele esiste, con istituzioni democratiche, con un esercito regolare, con confini difesi e una società che discute e si divide, persino con ferocia, sul destino della propria nazione. È questa la differenza sostanziale: la legittimità politica e istituzionale.

Il riconoscimento internazionale non può sostituire ciò che manca sul campo. Pretendere di riconoscere uno Stato palestinese oggi equivale a un atto simbolico privo di effetti concreti, se non quello di rafforzare chi utilizza il proprio popolo come arma. La pace non nascerà dalle mozioni parlamentari in Europa o dal voto alle Nazioni Unite ma dal giorno in cui i palestinesi avranno una guida politica che scelga la via della costruzione statuale, e non della distruzione di Israele. Il resto è politica interna travestita da diplomazia. E, troppo spesso, pura propaganda.

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