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Il caso

Caso Cospito, la Corte di Strasburgo respinge il ricorso: il 41 bis non viola i suoi diritti

«Prendiamo amaramente atto della decisione, tutto sommato scontata: la giurisprudenza della Cedu è nota e non lasciava grandi speranze di successo»

Caso Cospito, la Corte di Strasburgo respinge il ricorso: il 41 bis non viola i suoi diritti

Nessuna violazione dei diritti fondamentali, né errori da parte delle autorità italiane nel valutare la compatibilità tra il regime detentivo del 41 bis e lo stato di salute di Alfredo Cospito, anarchico detenuto dal maggio 2022 in regime di carcere duro. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che ha respinto il ricorso presentato dalla difesa, giudicandolo “manifestamente infondato”.

La decisione è arrivata ieri da Strasburgo, con una motivazione netta: lo Stato italiano ha fornito prove sufficienti per giustificare l'applicazione del 41 bis, anche dopo l’aggravarsi delle condizioni fisiche del detenuto, a seguito di un lungo sciopero della fame che Cospito ha scelto di intraprendere per protesta.

«Prendiamo amaramente atto della decisione, tutto sommato scontata – ha dichiarato l’avvocato Flavio Rossi Albertini, difensore storico dell’anarchico – la giurisprudenza della Cedu è nota e non lasciava grandi speranze di successo».

Il ricorso alla Corte di Strasburgo

Il ricorso era stato presentato nell’ambito dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che proibisce trattamenti inumani o degradanti. Due i punti centrali della richiesta: la legittimità dell’applicazione del 41 bis a un detenuto accusato di terrorismo, ma non legato alla criminalità organizzata tradizionale; e soprattutto la mancata revoca del regime speciale in seguito al progressivo deterioramento della sua salute.

I giudici, però, non hanno ravvisato elementi di illegittimità. Anzi, hanno ritenuto che le autorità italiane abbiano tenuto conto delle condizioni fisiche di Cospito e abbiano valutato in maniera non arbitraria la prosecuzione del carcere duro, ritenuto necessario per interrompere i collegamenti con l’esterno e impedire la diffusione di messaggi ideologici che potrebbero, ancora oggi, ispirare azioni violente.

Sciopero della fame, ma decisione autonoma

Particolare attenzione è stata data, nella pronuncia della Corte, al tema dello sciopero della fame: i giudici sottolineano come il deterioramento delle condizioni di salute del ricorrente sia conseguenza di una scelta consapevole e autonoma, che non può essere imputata alla condotta delle autorità penitenziarie. Una posizione che era già stata espressa nei vari gradi della giustizia italiana – fino alla Cassazione e alla Corte Costituzionale – e che Strasburgo ha ora fatto propria.

Chi è Alfredo Cospito

Alfredo Cospito, 56 anni, è detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Sassari. Ex militante del FAI (Federazione anarchica informale), è stato condannato in via definitiva per l'attentato alla scuola allievi carabinieri di Fossano del 2006 – che non provocò vittime – e, più di recente, per un episodio di gambizzazione di un manager di Ansaldo, avvenuto nel 2012. Quest’ultima condanna è passata in giudicato come attentato contro la pubblica sicurezza, mentre per l'attentato di Fossano è stata richiesta, in un primo momento, la riqualificazione in "strage politica", con pena fino all'ergastolo, poi ridotta a 23 anni in appello.

Il caso di Cospito ha assunto rilevanza nazionale nel 2023, quando lo sciopero della fame – durato oltre 100 giorni – ha riacceso il dibattito politico sul 41 bis e sui suoi limiti. Manifestazioni, atti vandalici rivendicati da ambienti anarchici e una lunga mobilitazione legale hanno tenuto aperta la discussione per mesi, in Parlamento e fuori. Ma la linea delle istituzioni – Ministero della Giustizia e Direzione Nazionale Antimafia in testa – non è mai cambiata: per lo Stato, Cospito resta pericoloso, anche dietro le sbarre.

Il pronunciamento della Cedu, oggi, chiude anche il fronte europeo. La Corte ha valutato che la limitazione dei contatti esterni e le restrizioni previste dal regime 41 bis, pur severe, non sono sproporzionate rispetto al rischio individuato dai giudici italiani e confermato dalle procure antimafia.

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