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Il caso

Banda di albanesi, rapine in tutta la città: 64 colpi in un anno. La banda festeggiava ai tropici

In un’occasione sarebbero volati tutti a Zanzibar, con le famiglie al seguito

Banda di albanesi, rapine in tutta la città: 64 colpi in un anno. La banda festeggiava ai tropici

Sessantaquattro furti contestati. Un intero anno di colpi a segno, ville svaligiate, quartieri messi sotto pressione, e una città – con la sua provincia – diventata terreno di caccia per una banda di professionisti del crimine. Ora, la Procura di Torino cerca di chiudere il cerchio. E lo fa con una richiesta pesante: condanne fino a sei anni e due mesi di carcere, presentate dal sostituto procuratore Giuseppe Drammis, al termine della fase preliminare del processo. Nel mirino ci sono tre uomini ritenuti i vertici operativi del gruppo e una serie di complici. Si tratta di Lali, 33 anni, considerato l’organizzatore e il cervello dell’intera operazione; Riko, 52, indicato come autista e palo; e Feru, 39, descritto come «l’uomo d’azione», colui che entrava materialmente nelle abitazioni durante i colpi. Attorno a loro, una rete ben costruita: fiancheggiatori, intestatari fittizi di auto, ricettatori, complici pronti a riciclare il bottino in contanti. Le indagini, condotte dai carabinieri di Chieri, hanno documentato un’attività criminale con un livello di organizzazione strutturata. Altro che ladri occasionali: la banda agiva con sopralluoghi mirati, auto intestate a prestanome per confondere i controlli, conoscenza puntuale del territorio e punti di rivendita consolidati. «Un’azienda del crimine», la definiscono gli inquirenti. Per questo, oltre ai singoli furti, la procura contesta il reato di associazione a delinquere, con aggravanti legate alla serialità, alla professionalità dell’azione e alla natura sistematica delle incursioni. Il calendario dei colpi si snoda tra il 2023 e l’inverno 2024, con una mappa che tocca le ville della collina torinese ma arriva anche nei quartieri della città. Il modus operandi è sempre lo stesso: osservazione delle abitudini dei residenti, preferibilmente durante i fine settimana o le ore serali, quando le case sono vuote. Entrata rapida, bottino selezionato – orologi di pregio, gioielli, contanti – e fuga. Nessuna improvvisazione. Ma la cronaca giudiziaria non si ferma alla tecnica. Dentro le carte d’indagine c’è una storia che, in più punti, sfiora l’assurdo. Dopo i colpi più redditizi, raccontano i carabinieri, il gruppo organizzava vacanze di lusso. In un’occasione sarebbero volati tutti a Zanzibar, con tanto di famiglie al seguito. In un’altra, si discuteva delle Maldive, quasi che ogni bottino rappresentasse un biglietto aereo da dividere. Una doppia vita, che alternava l’irruzione nelle ville al relax in resort tropicali. C’è anche di più. Uno degli indagati – secondo quanto emerge dagli atti – si trovava in regime di semilibertà. Di giorno era fuori dal carcere, come previsto. Ma anziché lavorare, rubava. Alla sera, rientrava regolarmente nella sua cella alle Vallette, come se nulla fosse. Le intercettazioni ambientali hanno rivelato che gli incontri con i complici avvenivano nei pressi del penitenziario. Poi partivano insieme per raggiungere l’obiettivo del giorno. La prossima udienza, a metà ottobre, sarà dedicata alle difese: tra gli avvocati, Antonio Genovese, Rocco Femia e Maria Franca Mastrogiorgio, che proveranno a smontare l’impianto accusatorio.

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