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IL CASO
09 Ottobre 2025 - 13:15
Una sala scommesse a Trofarello, due ex gestori finiti sotto misura cautelare, tredici indagati e un nome noto, già passato per i titoli: Nicolò Fagioli. Lunedì mattina, la polizia ha notificato l’obbligo di firma a due italiani, di 40 e 37 anni, nell’ambito di un’indagine che – tra i vari capi d’accusa – comprende associazione a delinquere finalizzata all’esercizio abusivo dell’attività di gioco, frode sportiva e autoriciclaggio. Un’indagine che parte da lontano, da settembre 2022, quando gli investigatori della Squadra Mobile di Torino e della SISCO iniziano a ricostruire una rete capillare e strutturata di scommesse illegali online, accessibili tramite link e piattaforme non autorizzate. E che trova conferme concrete nel dicembre dello stesso anno, in seguito a un controllo amministrativo mirato proprio all’interno della sala scommesse poi individuata come centro nevralgico del gruppo. Formalmente regolare, la sala in realtà – secondo quanto ricostruito dagli inquirenti – gestiva un sistema parallelo di raccolta puntate, utilizzando software avanzati e spazi virtuali fuori dai circuiti autorizzati dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Le piattaforme utilizzate avevano nomi evocativi: ‘betart.bet’, ‘specialbet.bet’, ‘crazybet’. A coordinare il fascicolo è la pm Manuela Pedrotta, già titolare dell’inchiesta che aveva coinvolto, sul piano sportivo e giudiziario, Nicolò Fagioli. L’allora calciatore della Juventus, ora alla Fiorentina, aveva patteggiato una squalifica di sette mesi. Ludopatico dichiarato, protagonista di un docufilm dal titolo Fragile, Fagioli era diventato – secondo gli investigatori – un intermediario tra i vertici dell’organizzazione e il mondo del calcio. Le sue dichiarazioni agli inquirenti avevano fornito riscontri oggettivi, utili a disegnare l’architettura del gruppo: una struttura piramidale, basata su fidati intermediari, credito illecito agli scommettitori e linee di puntata gestite in autonomia. A rendere più opaca la rete, l’uso sistematico di chat criptate, nickname, e strumenti di cifratura per eludere controlli. Il denaro, nel frattempo, viaggiava. Ricariche su carte prepagate, movimentazioni verso conti esteri, rientri camuffati in circuiti leciti. È qui che gli investigatori individuano le tracce dell’autoriciclaggio: somme reinvestite con l’obiettivo di nasconderne l’origine. Un sistema ingegnoso, e capillare, che gli inquirenti sono riusciti a mappare anche attraverso decine di copie forensi di dispositivi informatici sequestrati durante le perquisizioni.
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