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L'intervista

Dalla carta al digitale con il coraggio delle sinergie «L’informazione libera chiede trasparenza e certezze»

Appello al governo: «Servono norme per l’attuazione del Media Freedom Act che garantisce il pluralismo degli investimenti pubblicitari di enti e società partecipate». Intanto presenta “Nasce”, consorzio di portali di informazione locale e specialistica

Dalla carta al digitale con il coraggio delle sinergie «L’informazione libera chiede trasparenza e certezze»

L'informazione di qualità, quella realizzata da redazioni di giornalisti professionisti che cercano, verificano e approfondiscono le notizie, naviga in acque sempre più agitate. E, fuori dal porto sicuro dei grandi gruppi editoriali, i piccoli giornali indipendenti fanno sempre più fatica. Roberto Paolo, giornalista e vicedirettore del quotidiano napoletano “Roma”, è anche il presidente della Federazione Italiana Liberi Editori (File), che riunisce gli “editori puri”, testate giornalistiche edite da cooperative o enti morali rigorosamente no profit.

Qual è la situazione dei piccoli giornali indipendenti e come vivono questa fase travagliata e piena di incognite dell’editoria italiana?

«Tutta l'informazione di qualità, in Italia ma non solo in Italia, attraversa da anni una crisi apparentemente senza ritorno. Ma non c'è dubbio che i giornali che si rivolgono ad un pubblico locale o di nicchia faticano più degli altri, dal momento che, proprio perché si tratta spesso di editori puri e no profit, non hanno alle spalle nessun padrone che li protegga dalle intemperie. Nessuno ripiana i bilanci in rosso, per intenderci».

I giornali cartacei sono quasi scomparsi, così come le edicole. È una realtà irreversibile. Sono cambiate le abitudini: i lettori si sono spostati sulle edizioni digitali che si possono sfogliare e leggere su qualsiasi dispositivo mobile, e questo dovrebbe compensare il calo di copie vendute.

«Ci troviamo di fronte ad un paradosso. Da un lato la domanda di informazione è più alta che in passato. I nostri articoli sono più letti rispetto a prima e raggiungono anche un pubblico che non andava in edicola nemmeno quando le edicole erano numerose, parlo di giovanissimi o di persone culturalmente meno attrezzate che ora leggono le notizie attraverso la rete e i social. Ma non esiste ancora un modello economico sufficientemente remunerativo. Vale a dire che i lettori leggono gratis o pagando un corrispettivo simbolico. Il digitale non remunera le redazioni come il cartaceo, e le perdite di ricavi da edicola non sono compensate dai ricavi del digitale. Questo produce un ecosistema fragile, in continuo pericolo di collasso».

È un problema che è stato evidenziato anche dalle autorità di governo in Europa e in Italia. L'attenzione della politica sembra più alta che mai su questo tema.

«Sì, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per prima ha richiamato il dovere degli Stati di sostenere l'editoria indipendente, e Giorgia Meloni ha ricordato che la libertà di stampa è un bene da tutelare perché non c'è democrazia senza accesso a un'informazione libera e indipendente. E finalmente, direi. Ricordo che fino pochi anni fa molti politici e cittadini volevano cancellare i contributi pubblici all'editoria no profit. Oggi la politica si è resa conto che non esiste pluralismo senza le piccole testate giornalistiche indipendenti. Ora però bisogna passare dalle parole ai fatti».

E qual è la situazione dei contributi pubblici ai giornali in Italia?

«La situazione è un po' complessa. I contributi diretti agli editori indipendenti no profit, cooperative ed enti morali, sono rimasti congelati in attesa di una riforma. Sono invece stati stanziati molti più soldi solo per i giornali editi da grandi gruppi editoriali, spesso quotati in borsa. Siamo del parere che il giornalismo di qualità vada sempre sostenuto segnaliamo soltanto che, mentre i piccoli editori indipendenti sono soggetti a regole molto stringenti e controlli rigorosissimi, con pattuglie di finanzieri nelle redazioni per verificare come vengono spesi quei soldi, per i grandi editori le maglie e le norme sono molto più larghe».

Lei accennava alla riforma dei contributi diretti all'editoria no profit, a che punto siamo?

«Bisogna dare atto a questo Governo, e in particolare al sottosegretario con delega all'editoria Barachini, di aver avviato un percorso condiviso e partecipato per elaborare una nuova normativa. Noi della File, assieme alle altre associazioni di categoria, abbiamo dato il nostro contributo in termini di idee e di proposte concrete. Dopo di che, siamo a un passo dal traguardo ma da mesi e mesi il concerto tra i vari ministeri coinvolti ha rallentato tutto. E nessuno conosce ancora il testo definitivo elaborato dagli uffici del Dipartimento per l'editoria. Possiamo solo incrociare le dita. Ma c'è un altro rilevantissimo tema sul quale il Governo al momento è fermo».

Quale?

«Ad agosto è entrato in vigore il regolamento europeo denominato Media Freedom Act. La politica ne ha parlato solo per la parte che interessa il governo della Rai. Nessuno discute dell'articolo 25 e della sua attuazione. Che in Italia è lettera morta».

Cosa prevede l'articolo 25 dell’European Media Freedom Act (Emfa)?

«Che negli Stati membri tutte le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici, le società partecipate o controllate da pubbliche amministrazioni, quindi Stato, Regioni e Comuni, devono garantire la trasparenza e il pluralismo nell'allocazione dei loro investimenti in pubblicità e comunicazione. Cioè a dire, devono destinare parte dei fondi per la comunicazione anche ai piccoli giornali locali o ai media indipendenti. Cosa che in Italia non avviene. E nessuno controlla».

Chi dovrebbe farlo?

«Dipartimento per l'editoria e Agcom. Fino a ieri gli enti pubblici e le società partecipate potevano dare la pubblicità a chi volevano, prevalentemente ai grandi gruppi editoriali e agli amici degli amici. Fece scalpore un'inchiesta di “Report” sulle ingenti somme che Poste Italiane destinava a una piccola rivista edita dalla ministra Santanché. Discutibile, ma era lecito. Oggi, grazie all'Emfa, non lo è più. Occorre però che qualcuno controlli. E forse sarebbe opportuno che Parlamento e Governo pensino a norme di regolamentazione precise e stringenti in materia».

Si dirà che non è semplice per una grande azienda diversificare i propri investimenti fino a raggiungere le piccole testate locali.

«Non c'è dubbio, ma è una questione di democrazia, non solo economica. Le informazioni sui prodotti e sulle attività di questi soggetti devono raggiungere tutti. Non è giusto che i nostri lettori siano tagliati fuori da informazioni su nuove tariffe della luce o del gas, o su nuovi prodotti postali o nuove offerte di banche pubbliche».

Certo, ma intendevo che esistono difficoltà oggettive legate alle piccole dimensioni di questi operatori dell'informazione.

«Ne siamo consapevoli e la nostra risposta è stata creare un consorzio che riunisce i portali digitali dei piccoli giornali per acquisire gli investimenti pubblicitari di grandi soggetti nazionali e distribuirli sui siti delle piccole testate».

Si riferisce al Consorzio “Nasce”?

«Sì, il consorzio si chiama “Nasce”, acronimo che sta per “Nord a Sud Consorzio Editoriale”, e si è dotato di una tecnologia innovativa che consente il monitoraggio minuzioso in tempo reale dei dati di traffico di tutti i siti internet aderenti, la gestione delle inserzioni pubblicitarie e la creazione di report sull'andamento delle campagne di informazione».

E quali sono i risultati di questa sinergia?

«I venti portali di informazione fondatori già realizzano 43 milioni di visualizzazioni al mese e una media di 660mila utenti unici al giorno. Ora siamo pronti per aprirci all'esterno della “File” e raccogliere così le adesioni di tutti i piccoli giornali italiani che sono esclusi dai circuiti pubblicitari nazionali. Su questo però la politica deve darsi una mossa e fare rispettare le norme europee dell'Emfa».

- Raffaele Schettino, direttore quotidiano Metropolis

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