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Il fatto
19 Ottobre 2025 - 19:24
Una catena di traffici costruita con metodo, ruoli assegnati e regole ferree. Così la Direzione distrettuale antimafia di Milano descrive l’organizzazione sgominata con quindici misure cautelari eseguite all’alba del 14 ottobre. Dodici in carcere, tre ai domiciliari. Tutti legati, secondo gli investigatori, a una cellula di narcotrafficanti con base tra Lombardia e Calabria, sotto l’ombrello della ’ndrangheta di Platì. Nel gruppo figura Luigi Marando, 35 anni, di Volpiano. Un cognome che in Piemonte pesa come pochi altri. È il figlio di Pasquale “Pasqualino” Marando, il boss che negli anni Novanta trasformò il Canavese in una delle frontiere settentrionali della mafia calabrese, prima di sparire nel nulla nel 2002, vittima di una “lupara bianca” mai chiarita. Per gli inquirenti, Luigi — soprannominato “Gino” — si muove tra Volpiano e Leini, territori già appartenuti al padre, mantenendo contatti e dinamiche di clan. Nelle chat criptate, il suo alias è “Dsquared2”. In un messaggio cita i lupi e la dignità, in un altro minaccia due persone che non avrebbero saldato un debito di cocaina. L’indagine, firmata dal gip di Milano, nasce da una serie di intercettazioni che hanno portato gli investigatori a un gruppo satellite del clan Barbaro, coordinato dal narcotrafficante internazionale Antonio Rosario Trimboli. Per gli inquirenti, è lui il punto di collegamento con le famiglie calabresi presenti tra Milano e Pavia, incaricate di gestire la distribuzione di cocaina nelle principali piazze del Nord. Trimboli, insieme ad altri referenti, avrebbe creato tra il 2020 e il 2021 una struttura criminale specializzata nell’acquisto e nello smistamento di grandi quantitativi di droga, con basi logistiche in Lombardia e ramificazioni fino alla Calabria e all’estero. Nell’elenco degli arrestati figurano nomi storici della ’ndrangheta: Antonio Barbaro, Michele Papalia, Bartolo Bruzzaniti, Francesco e Giuseppe Varacalli, oltre a Marando. Il gip parla di un’organizzazione “rodata e professionale”, capace di agire in silenzio, con telefoni criptati, depositi dedicati e un sistema di ruoli “chiaramente definiti”. Una delle basi operative era la casa di Antonio Santo Perre, dotata di un vano nascosto per lo stoccaggio della droga e di un box anonimo a Trezzano sul Naviglio. Dalle chat sulla piattaforma SkyEcc emergono i soprannomi dei protagonisti: “Pedro” e “Putin” per Giuseppe Grillo, “Malverde” e “Santa Cruz” per Trimboli. In una conversazione del gennaio 2021, si parla della vendita di 100 chili di cocaina destinati proprio a Grillo. Secondo la procura, gli “acquirenti stabili” erano sette: Barbaro, i fratelli Varacalli, Bartiromo, Papalia, Caravaglia e Luigi Marando. Tutti legati da vincoli di fiducia e di sangue. Le indagini, coordinate dal pm Gianluca Prisco e condotte dal Gico della guardia di finanza, hanno ricostruito un flusso di denaro e droga che, in poco più di un anno, avrebbe movimentato cocaina per circa 18 milioni di euro. Il denaro, spiegano gli investigatori, viaggiava attraverso un sistema di compensazione informale — il “fei ch’ien” — che consente di trasferire fondi senza passare dalle banche. Per il procuratore Marcello Viola, l’operazione ha messo in luce “l’esistenza di un legame stabile tra esponenti delle famiglie Papalia-Carciuto, Marando-Trimboli e Barbaro ’U Castanu, e un gruppo camorristico collegato ai Di Lauro di Napoli”. Le perquisizioni sono ancora in corso tra Milano, Pavia e Reggio Calabria, con l’impiego di unità cinofile antidroga e “cash dog” per la ricerca di denaro contante. A Volpiano, intanto, quel cognome torna a pesare. Vent’anni dopo la scomparsa di Pasqualino, la storia sembra chiudersi dove era cominciata: tra cocaina, chat criptate e la continuità di un potere che non ha mai smesso di adattarsi.
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