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Il caso

Confisca antimafia da due milioni: sigilli ai beni di un pregiudicato legato alla ’ndrangheta

Case, terreni, quote societarie e conti correnti finiti nella rete della Dia di Torino

Confisca antimafia da due milioni: sigilli ai beni di un pregiudicato legato alla ’ndrangheta

Era partito dal ferro vecchio, lo trasformava in oro. Poi in paura. E infine in potere. Adesso, di quell’impero costruito tra demolizioni, minacce e prestiti a strozzo, Emanuele Lo Porto, 65 anni, non conserva più nulla. La Direzione investigativa antimafia e i carabinieri di Asti gli hanno portato via tutto: una villa con piscina e campo da padel, due capannoni, terreni, auto, quote societarie e denaro, per un valore complessivo di due milioni di euro. Il decreto di confisca di prevenzione, firmato dal Tribunale di Torino su proposta del direttore della Dia, colpisce anche i familiari del boss astigiano, un ex imprenditore diventato punto di riferimento per usura, estorsioni e traffici legati alla ’ndrangheta piemontese. Lo Porto era stato arrestato nell’ottobre del 2023, dopo quattro mesi di latitanza. Si nascondeva a Rocca d’Arazzo, in provincia di Asti. Quando gli agenti della Squadra Mobile lo hanno trovato, non ha opposto resistenza: «Bravi, mi avete preso», ha sussurrato. Una frase amara, detta da chi sapeva che la fuga era finita e che la rete dei suoi affari si stava sgretolando. Nella lista dei beni confiscati ci sono anche la sua maxi villa, due capannoni industriali, terreni agricoli, tre auto e le quote della sua impresa di autodemolizioni. Secondo la Dia, quel patrimonio è «sproporzionato» rispetto ai redditi dichiarati: il frutto di anni di ricatti e violenze economiche. Già condannato a nove anni per usura ed estorsione, Lo Porto affronta ora un nuovo processo, in cui la procura ha chiesto 29 anni di carcere per tentato omicidio e altri reati. Quando uscirà, dovrà restare sotto sorveglianza speciale per cinque anni, con obbligo di permanenza nel Comune di Asti.

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